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venerdì 28 dicembre 2018

LA CAROVANA DEL GIRO D'ITALIA IN UN'AREA PROTETTA?


Torino, 14 dicembre 2018                                                                            Comunicato stampa

Il percorso della Corsa ciclistica Rosa prevede l’arrivo della tappa Pinerolo-Ceresole Reale al Lago del Serrù, a 2300 metri di quota, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Paradiso

Giro d’Italia, Legambiente chiede di spostare il traguardo della 13° tappa a Ceresole Reale per tutelare l’habitat del Gran Paradiso


L’edizione 2019 del Giro d’Italia, presentata alla stampa nelle scorse settimane, prevede per la sua 13° tappa Pinerolo-Ceresole Reale l’arrivo al Lago del Serrù, a 2300 metri di quota, nel cuore del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Una scelta che per il suo possibile impatto sul delicato habitat naturale dell’alta Valle Orco ha suscitato le perplessità delle associazioni ambientaliste, rappresentate nel Consiglio del Parco da Antonio Farina che con una lettera ha portato la questione all’attenzione, tra gli altri, del Ministro dell’Ambiente Sergio Costa.

“Ricordiamo che la tappa finale e il circolo mediatico che accompagna la Corsa ciclistica Rosa, dovrebbe da programma occupare un luogo molto più in alto del paese di Ceresole Reale e lontano dalle infrastrutture, tuttora raggiunto solo da una carrozzabile che nelle domeniche estive viene chiusa per stemperare l’afflusso di auto -dichiara Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. Il frastuono dei motori di auto, camion ed elicotteri, disturberebbe gli animali del parco nel mese di maggio, stagione in cui gli stessi si trovano ancora a bassa quota a causa dell’innevamento e momento critico per gli stambecchi che devono partorire. Chiediamo quindi che il traguardo della tappa del Giro si attesti a Ceresole Reale, ai confini del Parco Nazionale”.

“Legambiente è impegnata da tempo -aggiunge Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente- affinché si realizzi una mobilità meno impattante nelle zone più delicate e di valore delle nostre montagne. Il passaggio del Giro d’Italia in Valle Orco è un momento utile ed importante per tutta l’area e la scelta di fermarsi a Ceresole costituirebbe un messaggio di grande sensibilità verso l’ambiente naturale, dispiace che venga addirittura usata come ricatto per cancellare la tappa stessa”.



Ufficio stampa Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta: 011.2215851 – 349.2572806

www.legambientepiemonte.it – www.facebook.com/legambientepiemontevalledaosta

mercoledì 28 febbraio 2018

TESTO UNICO FORESTALE: IL MONDO ACCADEMICO E LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE CHUEDONO CHE NON VENGA APPROVATO

da Redazione Tiscali:
Assalto al bosco, Gentiloni ci prova con un decreto. Appello di 200 studiosi: no ai tagli e speculazioni
La norma potrebbe venire approvata nei prossimi giorni. "Il bosco ha bisogno di tutela contro il rischio idrogeologico"
Docenti, ricercatori, botanici, forestali zoologi e esperti di rischio idrogeologico e docenti di diritto costituzionale. Almeno duecento firme giungono al Parlamento, dalle cui commissioni cui è uscito lo schema di decreto varato a dicembre dal Cdm e che potrebbe venire approvato nelle prossime ore. L'appello contro la norma (qui il link Facebook: https://www.facebook.com/notes/associazione-ardea/assalto-alle-foreste-italiane-il-comunicato-di-ardea-e-soa/1958663330842847/) che riscrive le regole sui boschi e le foreste riguarda il tema ambientale per eccellenza che va ben oltre il semplice valore paesaggistico. 
Un argomento fondamentale, in un paese devastato da terremoti, alluvioni e dissesto idrogeologico diffuso, totalmente assente dalla campagna elettorale, eccezion fatta per i Cinquestelle che hanno provato a portare in campo l'argomento annunciando l'intenzione di nominare in un eventuale governo pentastellato il generale Sergio Costa, capo dei Carabinieri forestali in Campania e dirigente di molte delle inchieste sulla devastazione ambientale della Terra dei fuochi, regno delle ecomafie. Costa è stato un acerrimo nemico della riforma voluta da Renzi, quella che cancellando di fatto la vigilanza ambientale ha messo a repentaglio la difesa del territorio del nostro Paese e in particolare dei 12 milioni di ettari di superfice boschiva. Gli incendi eccezionali dell'estate scorsa sono lì a dimostrare le sopravvenute difficoltà.
A cui si aggiungeranno, stando a quanto sostengono i 200 firmatari dell'appello, "deroghe e punti scivolosi" contenuti nella norma voluta dal governo Gentiloni che mettono a rischio il patrimonio boschivo e ne favoriscono l'assalto speculativo. Ma che per il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina "è uno strumento essenziale". Dice il ministro che "vogliamo farne una risorsa che aiuti a difenderci dal dissesto idrogeologico e che dia un contributo alla lotta allo spopolamento nelle aree rurali". 
Ma per gli esperti della materia piuttosto è il contrario. Intanto perché cambia l'iter per la "trasformazione" del bosco, che oggi è generalmente vietata salvo le eccezioni. Il nuovo testo inverte l'onere della prova, nel senso che chi si oppone alla trasformazione, che è sempre possibile, deve dimostrare evidenziare gli ostacoli che possono creare un maggiore danno. Secondo la legislazione attualmente in vigore, gli introiti dell'espianto del bosco devono essere reinvestiti per il miglioramento e per il controllo del dissesto idrogeologico. Quello che succede con la nuova norma è che un intervento eccezionale diventa un iter possibile (sempre) e la compensazione, concetto reso non chiaro, nelle nuove norme prevede anche la cosiddetta "valorizzazione socioeconomica". Spiegano i responsabili dell'associazione Soa e Ardea che in questa definizione "potrebbero rientrare anche baite o strade o magari resort, piste da sci e pargheggi". Opere potenzialmente dannose per il bosco. 
La definizione di bosco cambia
Dalla definizione di bosco escono quei terreni che in un passato anche lontano sono stati coltivati e che per abbandono negli anni sono diventati bosco. Non c'è alcun limite di tempo, nel senso che se un territorio 500 anni fa era coltivato oggi, secondo questa legge, "potrebbe essere svincolato dalle tutele del bosco ed essere sottoposta a tagli indiscriminati". E qui stiamo parlando "di gran parte del patrimonio forestale italiano - scrivono le associazioni ambientaliste -. Questa definizione incredibile apre la strada a tutta una serie di facilitazioni per interventi speculativi, diminuendo, ad esempio, le tutele dal punto di vista paesaggistico". Alessandro Chiarucci, biologo dell'Università di Bologna citato dal Fatto quotidiano, dice che il bosco "non è solo una coltura produttiva ma anche un habitat naturale e ha un valore come tale. E' - continua - un elemento fondamentale della biodiversità che deve aver garantito un diritto ad esistere e ad avere anche delle proprie dianamiche naturali senza dover essere visto esclusivamente in base a necessità umane". Escono dalla classificazione di bosco anche le costruzioni abbandonate che nel tempo siano state abbracciate dagli alberi e dalla vegetazione.
Intervento d'imperio nelle zone private
Per le zone private non "curate" da almeno 10 anni, inoltre, è prevista una classificazione come terreno abbandonato sui quali le Regioni - competenti per boschi e foreste - possono imporre  la gestione. Pena la sostituzione del pubblico che può affidare a un privato lo sfruttamento. Cioè: se entro un anno da quando è previsto il "turno di taglio" il privato non interviene può avvenire la sostituzione. Il ricavato per una parte verrà depositato e il proprietario del terreno potrà rivendicarlo. Questa norma può essere valida per il caso eccezionale, ad esempio per la gestione del rischio idrogeologico o per la salvaguardia delle specie, ma non in modo sistematico. Da qui l'assurdo scientifico. 
Una legge anti-scientifica
"Il governo Gentiloni all'ultimo secondo utile vuole emanare una nuova legge forestale che darebbe il via libera a un vero e proprio assalto ai boschi italiani, permettendo un uso predatorio a discapito della loro qualità ambientale", è scritto nell'appello degli studiosi. Che prosegue: "Esprimiamo tutto il nostro sconcerto per i contenuti della proposta del governo che, in maniera del tutto anti-scientifica, vorrebbe far passare l'idea che il bosco non possa svolgere le proprie funzioni ecologiche senza un pesante intervento umano quando invece si tratta di ecosistemi che si sono evoluti in decine di milioni di anni. Si tratta di una vera e propria ideologia auto-referenziale che nasconde in realtà le mire di chi vede nel bosco un mero fattore di profitto. Manca una visione di riequilibrio ambientale dopo decenni di uso selvaggio del territorio", si legge nel comunicato. Al di là dei casi in cui bisogna intervenire per salvaguardare il bosco stesso, dice Goffredio Filibeck dovente di botabnica all'Università della Tuscia, "fondare una legge sul principio aprioristico che il bosco abbia bisogno di manutenzione per la protezione del dissesto idrogeologico o per gli incendi è un assurdo scientifico". 
27 febbraio 2018
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Il nuovo Testo Unico Forestale è un decreto legge ammazza-foreste di fine legislatura?
Appello di docenti e ricercatori a Presidente della Repubblica e governo: non lo approvate

domenica 26 marzo 2017

ALLA CAMERA LA LEGGE SUI PARCHI CHE NON PIACE AD AMBIENTALISTI ED ESPERTI




 Quale futuro per le aree protette italiane?

I nostri padri costituenti hanno posto la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico tra i principi fondamentali della Costituzione (art.9) ma da qualche anno assistiamo all’indebolimento delle istituzioni di tutela, al venir meno della coscienza del bene comune ch#e dovrebbe ispirarle, al generale peggioramento del nostro paesaggio.
Nella Costituzione, scrive Salvatore Settis, “non si parlava di <<ambiente >> ma la Corte costituzionale ha riconosciuto che la tutela dell’ambiente è valore costituzionale primario e assoluto, in quanto espressione dell’interesse diffuso dei cittadini, determinato dalla confluenza dell’articolo 9 con l’articolo 32, secondo cui << la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività>>.
Concezione avanzatissima di <<ambiente>>, secondo cui il danno ambientale danneggia la salute del corpo quanto il danno paesaggistico può danneggiare l’equilibrio della nostra mente”.(1)
Gli articoli 9 e 32 della Costituzione sono le vere basi su cui si fonda l’attuale legge quadro sui parchi, oggi sotto attacco.
Le prime proposte di legge in materia di Parchi risalgono agli anni sessanta, anche su iniziativa del CNR, e un altro disegno di legge prese corpo nel 1980 grazie alla collaborazione tra Italia Nostra, WWF, CAI e l’allora Ministro dell’Agricoltura Giovanni Marcora.
Nel corso di uno storico convegno presso l’Università di Camerino nell’ottobre dello stesso anno si parlò della necessità di tutelare entro la fine del secolo almeno il 10% del territorio italiano ma il cammino della legge si presentò da subito accidentato e il dibattito rimase confinato in ambienti ristretti.
In mancanza di una legge quadro nazionale alcune regioni (da poco istituite) ritennero doveroso superare le inadempienze dello Stato istituendo proprie aree protette per bloccare le speculazioni che minacciavano ambienti di grande pregio.
Tra queste il Piemonte costituì senza dubbio un punto di riferimento per il numero di Parchi e Riserve Naturali e soprattutto per il sistema di gestione attraverso appositi Enti strumentali (come quelli già operanti nei due parchi storici: Parco d’Abruzzo e Gran Paradiso), con un Presidente, un Consiglio direttivo, un Direttore e dei dipendenti (amministrativi, tecnici e vigilanza) , di gran lunga più efficaci dei Consorzi di Comuni.
Negli anni successivi l’iter della legge quadro  venne ancora ostacolato e rinviato dai soliti conflitti di competenze tra Stato e regioni, dagli interessi particolaristici di potenti gruppi di pressione in grado di influenzare diverse componenti del Parlamento, ma anche a causa delle sacche di arretratezza culturale sui temi della conservazione della natura
La decima legislatura (1987-1992) vide l’ingresso in parlamento di un gruppo di deputati sensibili alle istanze ambientaliste, istanze per altro perfettamente in linea con l’ art. 81 del D.P.R. 616 del 1977 (istituzione delle Regioni)  che riservava allo Stato l’identificazione delle «linee fondamentali dell’ordinamento del territorio nazionale, con particolare riferimento ... alla tutela paesistica ed alla conservazione del suolo».
In quel periodo denso di speranze l’attenzione e la curiosità verso la problematica ambientale venne dimostrata anche da parlamentari appartenenti a partiti tradizionali con l’emanazione di importanti provvedimenti: la legge 431/1985 (c.d. legge Galasso) aveva ribadito la prevalenza della tutela ambientale rispetto alla funzione urbanistica, la 349/1986 aveva istituito il ministero dell’Ambiente e la 183/1989 aveva finalmente affrontato la difesa del suolo con la pianificazione a scala di bacino idrografico e l’istituzione delle Autorità di Bacino, dove gli  interessi paesaggistici e ambientali venivano direttamente tutelati dallo Stato.
E’ di quel periodo anche la legge quadro sui Parchi 6 dicembre 1991 n. 394 (attualmente in vigore) che venne approvata in via definitiva alla Camera dei deputati il 20 novembre 1991: un evento storico poiché a cinquantadue anni dalla legge 1497/39 “Protezione delle bellezze naturali”  il Paese si dotava di una normativa organica e unitaria con una visione globale, comprensiva anche della protezione dei valori ecologici e scientifici.
Ministro dell’Ambiente era Giorgio Ruffolo ma occorre ricordare, tra gli altri, soprattutto gli Onorevoli Gianluigi Ceruti (Relatore e “padre” della legge), Piero Angelini, Gianni Mattioli, Laura Cima, Anna Donati e Antonio Cederna “colui che per decenni è stato il più lucido, coraggioso, efficace difensore del territorio, dell'ambiente e del patrimonio culturale degli italiani” (come l’ha definito Tomaso Montanari nel ventesimo anniversario della morte). (2)
Le aree protette hanno un ruolo strategico per la tutela di beni preziosi come l’acqua, i boschi, la biodiversità, il paesaggio e rappresentano uno strumento della pubblica amministrazione che si distingue per la capacità di recuperare risorse da bandi e progetti ambientalmente compatibili di varia provenienza.
Inoltre le loro strutture sono le più idonee alla gestione dei siti della Rete Natura 2000 per il raggiungimento degli obiettivi ambientali comunitari.
Parchi e Riserve Naturali, se ben governati e distanti da interessi particolari, costituiscono gli ultimi baluardi alla svendita e privatizzazione di beni comuni e al consumo irresponsabile di territorio, sperimentando modelli di sviluppo realmente sostenibile per garantire un futuro alle prossime generazioni, ma da anni stanno vivendo una crisi senza precedenti tra scarse risorse economiche, piante organiche ridotte per ben tre volte, interessi economici che ne minacciano l’integrità; problematiche che non derivano certo dalla validità della legge quadro, ma da precise volontà politiche. Per dirla con Mario Tozzi “ alle 23 perle naturalistiche del Belpaese va meno di quanto occorre per costruire un km della variante di valico autostradale Bologna-Firenze”. (3)
Dal 2009, con la crisi economica, sono iniziati i tentativi di modifica della legge costata anni di fatiche, con proposte che sono sembrate da subito peggiorative come l’introduzione delle “attività umane” quali oggetto di tutela e la conseguente possibilità di abbattere anche specie particolarmente protette e la previsione di finanziamenti ai parchi da parte dei gestori di opere di forte impatto ambientale come cave e impianti energetici.
Va detto in proposito, a onor del vero, che non mancano esempi di utilizzo di attività private per restituire naturalità ad ambienti degradati (ad esempio il recupero di esistenti siti di cava in parchi regionali) ma c’è il rischio che opere oggi vietate nelle aree protette siano addirittura incentivate per far cassa.    
Anche per quanto riguarda i parchi regionali da anni le cose non sembrano andare nel migliore dei modi tra tagli ai finanziamenti, mancanza di personale di vigilanza, accorpamento degli Enti parco in un unico soggetto, riduzione delle superfici, nuovi progetti di infrastrutture devastanti ed estromissione degli ambientalisti (specialmente quelli espressi dalle associazioni storiche realmente riconosciute a livello nazionale) dai consigli direttivi.
In occasione del ventennale della legge, alla fine del 2011, da una serie d’incontri e dibattiti sono emerse indicazioni per un rilancio della politica dei parchi per dare piena attuazione alla 394, da anni bellamente ignorata, senza escludere a priori veri e auspicabili miglioramenti basati anche sull’esperienza di chi i Parchi li vive. Si pensi ad esempio alla vigilanza nei Parchi nazionali (fatta eccezione per i due storici) affidata non a Guardiaparco dell’Ente di gestione ma a personale del Corpo Forestale  che non fa capo all’Ente Parco; uno scollegamento che la riforma in corso con il passaggio all’ Arma dei carabinieri può contribuire ad accentuare.
Il sistema dei Parchi non deve essere stravolto ma potenziato anche alla luce dei nuovi principi in tema di conservazione della natura e ai relativi obblighi internazionali che impegnano il nostro Paese; nel 1991, quando la legge entrò in vigore, non c’erano la Convenzione internazionale sulla biodiversità, la Strategia nazionale per la biodiversità, la rete Natura 2000 e la Convenzione Europea sul Paesaggio.
Non è colpa della legge quadro se alcuni parchi nazionali non hanno un piano, sono senza direttivo, sostituito da un commissario, o sono senza direttore. Sarebbe necessario l’interessamento del Ministero dell’Ambiente e sarebbe utile un confronto attraverso la convocazione di una nuova Conferenza Nazionale dei Parchi.
I veri e necessari miglioramenti non ci sono stati e, al contrario, i tentativi di modifica nati in seno al PDL sono proseguiti in casa PD con nuovi emendamenti-stravolgimenti e le solite giustificazioni (la legge è datata, bisogna semplificare la burocrazia, ecc.)
Queste sono alcune delle novità giudicate peggiorative:
- sono introdotte le royalities per i parchi che ospitano iniziative dannose per l’ambiente  con il rischio, ad esempio, di condizionare i pareri sulle attività di cava e di estrazione di idrocarburi. L’indipendenza degli Enti parco sarebbe compromessa.
- la carica di Presidente (nominato, per i Parchi Nazionali, con decreto del Ministro dell'ambiente) è incompatibile con qualsiasi incarico elettivo ma manca ancora una definizione chiara e adeguata delle competenze di questa figura.
- è alterato il bilanciamento dei poteri tra l’interesse pubblico nazionale e quello locale dando peso alle rivendicazioni locali sia nella composizione degli organismi dirigenti sia nella nomina del direttore, non più nominato dal Ministro, ma dal Consiglio del Parco. Il direttore non è più scelto tra soggetti iscritti a un albo specifico ma anche tra “dirigenti pubblici, funzionari pubblici con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, persone di comprovata esperienza professionale di tipo gestionale”.
Questa modifica non metterà più al primo posto il merito, l’esperienza e le competenze in materia di tutela ambientale ma l’”affidabilità”. Per i direttori dei musei la ricerca della competenza è stata fatta anche fuori dei confini nazionali; perché per i Parchi la competenza ha meno valore?
- cambia l'iter delle nomine degli organi direttivi: i consigli saranno formati per metà da componenti scelti dalla Comunità del parco (gli enti locali) e per metà da esperti. Tra gli esperti (il cui numero viene ridotto rispetto al testo attuale), rientrano però anche portatori d’interesse economico: le associazioni agricole nazionali. L’agricoltura è certamente importante (come peraltro altre attività all’interno dei Parchi) ma c’è il rischio che la tutela dell'area passi in secondo piano e che gli Enti parco siano consegnati alle logiche di degenerazioni localistiche e partitiche. Un altro segno della volontà di indebolire il vero obiettivo del Parco: la Conservazione della Natura.
- la caccia nelle cosiddette “aree contigue” ed esterne ai parchi sarebbe permessa non più solo ai residenti, come si prevede con la 394,  ma anche a cacciatori provenienti dall’esterno. Viene vanificato il principio del “cacciatore legato al territorio”.
- per le aree protette marine la proposta contiene ipotesi più preoccupanti di quelle previste per i parchi terrestri: i parchi naturali regionali sono costituiti solo da aree terrestri, fluviali e lacuali e non più eventualmente da tratti di mare prospicienti la costa, di valore naturalistico e ambientale. Non più omologate ai Parchi, queste aree sono lasciate in una situazione di completa indeterminatezza.
Nel giugno dello scorso anno numerosi scienziati, naturalisti, botanici, ambientalisti, ex presidenti nazionali e regionali del WWF hanno chiesto all’organizzazione, che fu a suo tempo attiva nella stesura della legge quadro, di svolgere un ruolo esterno di proposta e di critica rigorosa.
In ottobre 17 associazioni (non solo ambientaliste) e un gruppo di 30 esperti di natura e gestione delle aree protette hanno inviato ai parlamentari un documento con le richieste di modifica della legge (miglioramenti anziché stravolgimenti) in vista della votazione in aula.
Il 10 novembre il Senato ha approvato e inviato alla Camera la proposta di legge ma le poche modifiche apportate dall’Assemblea in sostanza non incidono sul contenuto del documento; nonostante qualche miglioramento, rispetto al testo del 1991, il giudizio sull’intera proposta rimane fortemente negativo.
Un mese dopo, a seguito della bocciatura del referendum costituzionale, è entrato in carica il nuovo governo ma per ora nulla sembra cambiare.    
In questi anni non è solo l’economia a essere in crisi; un’altra crisi, a essa legata e più meritevole di attenzione, è quella ambientale ma l’opinione pubblica non pare essere adeguatamente informata e sembrano ormai lontanissimi i tempi in cui Federico Fazzuoli, nel corso delle sue trasmissioni televisive, parlava di ambiente e intervistava responsabili e operatori dei Parchi facendo emergere i problemi di gestione.
Oggi si parla quasi esclusivamente di enogastronomia e di sfruttamento di risorse ma i Parchi italiani sono stati istituiti per molte altre ragioni: sono uno tra i migliori strumenti per conservare la natura, promuoverne la conoscenza, fermare l’impoverimento della biodiversità, contrastare il dilagare della cementificazione, difendere il paesaggio e i beni culturali. Devono poter svolgere pienamente il loro ruolo.
(1)    Salvatore Settis,  “Costituzione – Perché attuarla è meglio che cambiarla”,  Einaudi, 2016  Pag. 144
(2)    Tomaso Montanari,  http://articolo9.blogautore.repubblica.it/2016/08/27/antonio-cederna-e-vivo/
(3)    Mario Tozzi, “Attenti a non ridurre la natura agli interessi dell’uomo”,  La Stampa 2-2-2017

Piero Mandarino
Consigliere Ente di gestione delle aree protette del Po vercellese-alessandrino

20-3-2017

lunedì 14 novembre 2016

LE MANI SUI PARCHI: PESSIME NOTIZIE...

Avevamo affrontato l'argomento in questo post : in Parlamento era in discussione la riforma  sui Parchi e aree protette e molte associazioni ambientaliste hanno redatto un documento congiunto per suggerire modifiche, integrazioni e correzioni al testo del disegno di legge all'esame del Parlamento: tale documento è integrato anche da un contributo del cosidetto “Gruppo dei Trenta”, costituito da scienziati e personalità della cultura, a sostegno delle richieste delle associazioni ambientaliste.

Purtroppo, venerdí 11 novembre il Senato ha approvato un testo di riforma delle aree protette  che vanifica quanto richiesto dalle associazioni ambientaliste e dai cittadini: il Gruppo dei Trenta e il Movimento 5 Stelle, che ha dato voto contrario, sono molto critici in merito a quanto è stato approvato.

La tendenza a gestire Parchi e aree protette come fossero delle aziende commerciali è sempre più evidente: ci riserveremo di studiare e commentare il testo approvato.

Intanto, qui di seguito riportiamo uno stralcio delle dichiarazioni del Gruppo dei Trenta:



Il “Gruppo dei 30” elenca quelle che ritiene le 10 misure maggiormente peggiorative inserite nel pdl di “riforma” della 394, eccole:
1) per la nomina del presidente non verrebbe richiesto alcun titolo concernente la  conservazione della natura che è la “mission” dei parchi, ma solo una “comprovata esperienza nelle istituzioni, nelle professioni, ovvero di indirizzo o di gestione in strutture pubbliche e private” .
2) il direttore non verrebbe più  scelto   in base alle competenza naturalistiche e culturali  ma secondo una “comprovata” e non meglio precisata “esperienza professionale di tipo “gestionale”. Inoltre non  verrebbe più nominato dal Ministro tra un elenco di competenti  (che esiste, non viene aggiornato da anni dal Ministero Ambiente  e si vorrebbe abolire!) ma sarebbe  nominato dal locale Consiglio direttivo,  di fatto dall’uomo di partito – Presidente  del Parco che sceglierebbe il Direttore tra persone di sua fiducia e dalle competenze imprecisate ovviamente uno yes man del Presidente stesso.
3) gli agricoltori entrerebbero a far parte dei Consigli direttivi dei parchi. E allora perché non altri soggetti economici che non  hanno titolo  in tema di  conservazione della natura come i cavatori di ghiaia , di marmo,  i pescatori , le cooperative di tagliaboschi, ecc?
4) un ‘associazione privata come Federparchi , incredibilmente diventerebbe  la rappresentante  ufficiale dei Parchi nazionali italiani, la qual cosa, oltre che gravemente lesiva dell’autonomia degli Enti parco,  è vista dai giuristi come potenzialmente incostituzionale.
5) le attività economiche con impatto sull’ambiente dei Parchi , come nel caso degli impianti di  estrazioni petrolifere, pagherebbero  royalties decretando in tal modo, come cavalli di Troia,  la fine dell’indipendenza degli stessi.
6) all’interno dei consigli direttivi  la componente scientifica e conservazionista (già oggi fortemente ridotte) diminuirebbe ancora a favore dei portatori di    interessi locali e di parte.
7) nulla si dice poi, circa un deciso  potenziamento della sorveglianza e delle dotazioni organiche totalmente insufficienti all’interno delle aree protette nazionali e delle Aree Marine Protette.
8) sul possibile Parco nazionale del Delta del  Po il “mancato raggiungimento dell’intesa tra Regioni precluderebbe  l’adozione di un decreto sostitutivo del Governo”. Leggasi: non si farà mai.
9) sulla caccia. Modificando la legge precedente nelle cosiddette “aree contigue” ai parchi (una delle tante carenze di applicazione della 394/91) la caccia sarebbe permessa non più solo ai residenti – come si era civilmente prospettato con la 394 –  ma anche a cacciatori provenienti dall’esterno- Allo stesso tempo la gestione faunistica viene affrontata in un modo assolutamente superficiale e inconsapevole della realtà, sia dei parchi che degli ecosistemi italiani.
10) è  totalmente aggirato il principio (presente nella 394/91) della completa omologazione delle Aree Marine Protette ai Parchi nazionali. Viceversa le A.M.P. vengono lasciate in una situazione di totale indeterminatezza e in balia di improbabili Consorzi ai quali non vengono neppure conferiti i fondi necessari al funzionamento.

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