giovedì 26 marzo 2020

NO ALL'APERTURA ALLA CACCIA A 15 SPECIE A RISCHIO: IL COMUNICATO E LE OSSERVAZIONI DI LEGAMBIENTE PIEMONTE E VDA




Torino, 25 marzo 2020                             Comunicato stampa

Legambiente: stop alla Regione Piemonte
“No all’apertura alla caccia a 15 nuove specie”

“Si stralcino dal DDL 83/2020 ‘Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2020’ tutti gli articoli che regolano la caccia e siano rinviati ad un esame approfondito da condurre solo al termine dell’emergenza attuale. Non è comprensibile l’apertura della caccia a specie a rischio”

Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta ha depositato le proprie osservazioni al DDL 83/2020 “Disposizioni collegate alla legge di stabilità regionale 2020”. Oggetto di revisione sia il Capo 2 “Disposizioni in materia di attività estrattive”, che il Capo 3 “Disposizioni in materia di agricoltura e caccia” (il testo completo delle osservazioni è scaricabile al link http://serviziweb.csi.it/solverweb/IndexDocumentServlet?id=58882 ).

Il DDL prevede, fra l’altro: l’abrogazione del divieto di caccia per quindici specie ad oggi protette (fischione, canapiglia, mestolone, codone, marzaiola, folaga, porciglione, frullino, pavoncella, combattente, moriglione, allodola, merlo, pernice bianca, lepre variabile); la deroga al divieto d’inserimento di fauna selvatica “pronta caccia”; il via libera al nomadismo venatorio, inserendo la possibilità per un cacciatore di cacciare non solo nell’ATC in cui ha fissato la propria dimora venatoria, ma potenzialmente in tutti gli ATC regionali; il via libera alla caccia notturna al cinghiale; il ridimensionamento dell’utilizzo di capi d’abbigliamento ad alta visibilità.  
Norme per le quali Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta chiede uno stralcio ed un rinvio a nuova discussione una volta fuori dall’attuale stato emergenziale o, in subordine, la cancellazione.

“In un momento di emergenza sanitaria non è ragionevole procedere a tutto sprone su norme divisive e complesse come quelle contenute nel DDL in questione. In questo momento storico – dichiara Giorgio Prino, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – è pericoloso prevedere maggiore mobilità venatoria (specie, tempi e spazi). Una vera e propria deregulation per un'attività assolutamente non necessaria al Paese, che inoltre crea danni alla fauna e all'ambiente.
Sarebbe esattamente l'opposto rispetto a quanto tutte le indicazioni scientifiche chiedono per difendere la salute dei cittadini e favorire e sostenere una ripresa sociale ed economica in un contesto fortemente cambiato dalla pandemia”.

“Stiamo assistendo ad un tentativo evidente e completamente ingiustificato di andare verso il “grilletto libero” – dichiara Angelo Porta, vicepresidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – Fra le specie a cui si vuole aprire la caccia alcune sono “minacciate a livello globale”, altre che sono in pericolo sul continente Europeo, altre infine a forte rischio in relazione ai cambiamenti climatici dell’ambiente montano. La caccia notturna “con ausilio di fonti luminose” mette a forte rischio tutta la fauna selvatica e non solo gli ungulati oggetto del provvedimento e, in ultimo, gli stessi cacciatori. L'unica limitazione che si prospetta, ovvero la possibilità di vietare la caccia su un fondo aperto, è legata ad un piano faunistico regionale inesistente, che la giunta regionale ha rinviato di tre anni e che aspettiamo da "solo" 28 anni. È assurdo che per il divertimento di una esigua minoranza, peraltro in costante calo, della cittadinanza piemontese, si mettano in pericolo la sopravvivenza di specie protette e ricchezze ambientali che possono rappresentare il volano di una prossima ripresa economica”.



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venerdì 20 marzo 2020

CORONAVIRUS: UN CONTRIBUTO DEL PROF. GIANNI TAMINO



Gianni Tamino

 Laureato in Scienze Naturali, dal 1974 è docente di Biologia generale e dal 2001 di Fondamenti di Diritto ambientale al Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova; fa inoltre parte del corpo docente del Corso di specializzazione in Bioetica a Padova.
Ha svolto ricerche sugli effetti mutageni e cancerogeni degli inquinanti ambientali e, più recentemente, sugli effetti ambientali e sanitari delle biotecnologie e, in particolare, degli organismi transgenico.
Nel 1985 è stato tra i promotori del referendum antinucleare e nel 1996 si è recato a Cernobyl, nel decennale dell’incidente, con una delegazione di parlamentari e di esponenti di Lega Ambiente.
È stato membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e, in particolare, del Gruppo di lavoro sui rischi biologici, e della Commissione Interministeriale per le Biotecnologie.


Pandemie e condizioni del Pianeta

L’obiettivo evolutivo di tutte le forme viventi è la propria riproduzione, per colonizzare l’ambiente di vita, obiettivo che entra in relazione, talora conflittuale, con lo stesso obiettivo riproduttivo di tutti gli altri organismi: da queste relazioni si sviluppano gli equilibri che caratterizzano gli ecosistemi e che pongono limiti alla crescita delle popolazioni e dei consumi di ciascuna specie. 

In ecologia si parla di carrying capacity (o capacità di carico) per spiegare che, sulla base delle caratteristiche di un ecosistema, gli individui di una popolazione non possono superare i limiti imposti dalle risorse disponibili. Un classico esempio per spiegare questo fenomeno è quello della relazione tra preda e predatore: alla crescita del numero di predatori corrisponde una diminuzione significativa del numero delle prede, che innesca – per scarsità di cibo – un conseguente calo anche dei predatori.

Nel caso della popolazione umana si utilizzano concetti simili a quelli di carrying capacity ma con terminologie e metodi di valutazione un po’ diversi. Si parla di “impronta ecologica”, cioè la misura del territorio in ettari necessario per produrre ciò che un uomo o una popolazione consumano. Questa analisi facilita il confronto tra regioni, rivelando l’impatto ecologico delle diverse strutture sociali e tecnologiche e dei diversi livelli di reddito. Così l’impronta media di ogni residente delle città ricche degli USA o dell’Europa è enormemente superiore a quella di un agricoltore di un paese non industrializzato, per cui sul pianeta un solo statunitense “pesa” più di 10 afgani.

L’Overshoot Day è, invece, il giorno in cui il consumo di risorse naturali da parte dell’umanità inizia a superare la produzione che la Terra è in grado di mettere a disposizione per quell’anno: nel 2019 questo giorno è stato il 29 luglio. Dunque in circa sette mesi, abbiamo usato una quantità di prodotti naturali pari a quella che il pianeta rigenera in un anno. Il nostro deficit ecologico, pari a cinque mesi, provoca da una parte l’esaurimento delle risorse biologiche (pesci, alberi ecc.), e, dall’altra, l’accumulo di rifiuti e inquinamento, responsabile anche dell’effetto serra. Le attività umane stanno, dunque, cambiando l’ambiente del nostro pianeta in modo profondo e in alcuni casi irreversibile. Stiamo dunque superando, anzi abbiamo già superato i limiti delle capacità del pianeta di sostenere la popolazione umana e mettiamo a rischio la sopravvivenza di molte altre specie. L’attuale sistema produttivo industriale ed agricolo sta gravemente compromettendo anche la biodiversità del pianeta. Molte specie di animali e di piante sono ridotte a pochissimi esemplari e, quindi, in pericolo o, addirittura, in via di estinzione.

Le dimensioni e i consumi delle popolazioni umane sono variati moltissimo nel corso dei millenni, ma ogni volta che le risorse disponibili diventavano insufficienti, le popolazioni venivano ridimensionate, attraverso sistemi di autoregolazione.
Fino a 12 mila anni fa la popolazione umana di raccoglitori e cacciatori, già presente in tutto il pianeta, per motivi di sostenibilità, cioè disponibilità di cibo, non superava probabilmente 1-2 milioni di abitanti, dato che ogni tribù doveva avere un ampio territorio di raccolta e di caccia e quel cibo costituiva il limite alla crescita. Si trattava di un sistema ben autoregolato e in equilibrio con il proprio ambiente; in qualche modo le società di allora potevano essere felici, perché utilizzavano quanto la natura offriva loro, senza un lavoro che occupava tutto il tempo di vita e quindi con tempi adeguati per le relazioni e per il riposo, come il mitico periodo dell’Eden.
In seguito, in varie zone del pianeta, come nella mezzaluna fertile, in medio oriente, un importante cambiamento climatico, con riscaldamento globale, diffusione di animali e piante nelle regioni in cui il clima divenne più caldo e umido, favorì la cosiddetta rivoluzione neolitica, cioè l’agricoltura e l’allevamento. In tal modo i limiti della crescita demografica cambiarono perché, seminando piante e allevando animali, sullo stesso territorio si potevano sfamare fino a 1000 persone anziché 40-50, portando la popolazione ben oltre la dimensione di un paio di milioni. Tuttavia quando l’annata dava raccolti scarsi o quando la popolazione cresceva troppo, non restava altra via che la migrazione verso nuove terre da coltivare. Così pian piano questa nuova cultura si estese, a partire dall’Anatolia, a tutta l’Europa e, partendo da altre zone, a gran parte dell’Asia e parte dell’Africa. In tal modo la popolazione mondiale arrivò prima a decine, poi a centinaia di milioni di abitanti, già alcuni secoli avanti Cristo. Si stima che nell’Impero Romano, tra il 300 ed il 400 d.C., vivessero tra 60 e 120 milioni di abitanti; ma tale popolazione fu duramente colpita dalla cosiddetta Peste di Giustiniano, che portò a decine di milioni di decessi. In pratica quando, in base alle caratteristiche ambientali, climatiche, politiche e tecnologiche (capacità di produrre cibo), si superava il limite demografico per quel territorio, intervenivano fattori ambientali e sociali che riportavano la popolazione sotto il limite. Analogamente tra il ‘300 e il ‘600 scoppiarono varie epidemie, associate a carestie e guerre, come la peste decritta dal Manzoni ne “I promessi sposi”, e la popolazione europea subì periodiche drastiche riduzioni.

Anche l’emigrazione ha costituito un elemento equilibratore dell’incremento demografico. La popolazione europea ha trovato, dopo la scoperta dell’America, nuove terre da coltivare, spazi da abitare, ricchezze da sfruttare, sottraendoli ai nativi che, oltre a essere massacrati, venivano debilitati da epidemie di malattie portate dai conquistatori.
Oltre alle epidemie di peste già ricordate, nel corso della storia umana, anche recente, si sono succedute molte altre epidemie/pandemie, alcune collegate a guerre e carestie.

Tra le molte succedutesi, vanno ricordate le ricorrenti epidemie di tubercolosi, malaria, colera, dissenteria, AIDS, ebola e soprattutto le recenti pandemie di influenza (spagnola, asiatica, Hong Kong, suina e aviaria), oltre ad altri tipi di coronavirus, precedenti il Covid-19 (SARS e MERS). Ma non va dimenticata la comune influenza stagionale, che, pur con un tasso di letalità inferiore a 0,1 (cioè meno di un decesso per mille malati), causa ogni anno, secondo l’OMS, circa mezzo milione di morti in tutto il mondo e secondo Epicentro, considerando decessi diretti e per complicanze a malattie pregresse, si arriva a circa 8 mila morti all’anno in Italia.
Certamente il più rilevante ed interessante caso recente di pandemia è quello dell’influenza spagnola (1918-20), forse la peggiore pandemia della storia dell’umanità per numero di contagiati e di morti. Tra il 1918 e il 1920 contagiò circa un terzo della popolazione mondiale, mietendo molte decine di milioni di morti, dal momento che aveva una letalità superiore al 2,5%. Mentre normalmente i tipi nuovi di virus attaccano soprattutto anziani e persone debilitate, questo tipo di virus fu particolarmente letale nei soggetti tra i 15 e i 44 anni. Venne chiamata “Spagnola” perché fu comunicata per la prima volta dai giornali spagnoli, ma l’origine venne poi identificata in un ospedale militare francese, a Etaples, sovraffollato, impegnato a curare migliaia di soldati vittime di attacchi chimici e di ferite di guerra: era un luogo ideale per la diffusione di un virus respiratorio.
Questa pandemia, sorta sul finire della prima guerra mondiale, mette in evidenza la relazione tra le limitate risorse, la malnutrizione (carestia), la scarsa igiene e una popolazione, soprattutto giovani militari ammassati al fronte, debilitata dalla guerra.

Come abbiamo visto, epidemie e pandemie sono uno dei possibili meccanismi di controllo delle popolazioni, insieme a carestie, guerre e migrazioni: quanto più si superano i limiti della disponibilità di risorse del territorio, quanto più si altera l’ambiente di vita, tanto più facilmente uno o tutti insieme questi meccanismi entrano in funzione. La crescita della popolazione umana fino a più di 7 miliardi di abitanti, è stata resa possibile dalla Rivoluzione Industriale, che ha utilizzato enormi quantità di energia di origine fossile per attività impensabili in precedenza, non solo nell’industria, ma anche in agricoltura, con la cosiddetta Rivoluzione Verde.

Tuttavia il cibo ottenuto potrebbe sfamare anche più di 7 miliardi di persone se venisse equamente distribuito e prodotto in modo sostenibile, ma una iniqua utilizzazione delle risorse, una crescente disparità tra pochi ricchi e molti poveri, una riduzione delle terre coltivabili a causa della cementificazione, la perdita di fertilità dovuta alle monocolture gestite chimicamente, l’inquinamento ambientale, l’alterazione del clima, danno origine a frequenti casi di carestie e di malnutrizione in ampie fasce della popolazione, soprattutto al sud del mondo.

A partire dalla rivoluzione industriale abbiamo imposto un’economia lineare su un Pianeta il cui sistema produttivo funziona in modo ciclico. La conseguenza è una continua crescita dell’inquinamento e un cambiamento climatico sempre più minaccioso per il mantenimento degli ecosistemi e della biodiversità. Tutto ciò comporta la morte prematura di molti milioni di persone, ma anche un incremento di malattie cronico degenerative, con conseguente indebolimento di tutta la popolazione, che risulta meno idonea a difendersi da altre malattie come quelle infettive.
I cambiamenti climatici e la riduzione delle foreste con l’alterazione degli habitat di molte specie animali, mette sempre più facilmente a contatto animali selvatici con esseri umani, un contatto ancora più stretto quando questi animali vengono catturati per essere venduti in mercati affollati, rendendo più facile il salto di specie per i loro patogeni (si pensi al virus di ebola).
Inoltre gli allevamenti, in particolare di polli e suini, con concentrazioni di molti capi in spazi ridotti, alimentati con mangimi contenenti antibiotici, favoriscono una forte pressione selettiva sui loro virus e batteri, che mutano velocemente verso ceppi e tipi più aggressivi anche verso la specie umana, come è avvenuto per l’influenza aviaria e suina.
Un’ulteriore contributo alla diffusione di agenti patogeni è dato poi dalla globalizzazione, che, grazie al frenetico trasferimento in ogni parte del pianeta di persone e merci, favorisce il passaggio da epidemie a pandemie.

La pandemia da Covid-19

Dunque la nuova pandemia del virus Covid-19 era prevedibile e ampiamente prevista, se non proprio nei termini e nei tempi precisi, sicuramente come evento probabile.
Già nel 1972, nel rapporto del MIT per il Club di Roma, dal titolo “I limiti dello sviluppo” si affermava che se la popolazione mondiale continuava a crescere al ritmo di quegli anni, la crescente richiesta di alimenti avrebbe impoverito la fertilità dei suoli, la crescente produzione di merci avrebbe fatto crescere l’inquinamento dell’ambiente, l’impoverimento delle riserve di risorse naturali (acqua, foreste, minerali, fonti di energia) avrebbe provocato conflitti per la loro conquista; malattie, epidemie, fame, conflitti avrebbero frenato la crescita della popolazione.

Vi è poi il libro “Spillover” di David Quammen; egli stesso spiega in una recente intervista: “Nel 2012, quando il libro è stato pubblicato, ho previsto che si sarebbe verificata una pandemia causata da 1) un nuovo virus 2) con molta probabilità un coronavirus, perché i coronavirus si evolvono e si adattano rapidamente, 3) sarebbe stato trasmesso da un animale 4) verosimilmente un pipistrello 5) in una situazione in cui gli esseri umani entrano in stretto contatto con gli animali selvatici, come un mercato di animali vivi, 6) in un luogo come la Cina. Non ho previsto tutto questo perché sono una specie di veggente, ma perché ho ascoltato le parole di diversi esperti che avevano descritto fattori simili.”
Questa pandemia, oltre a quanto già previsto da Quammen, è caratterizzata da un nuovo virus, che risulta molto contagioso, con letalità non molto elevata (circa 2-3%, comunque ben più alta della letalità della normale influenza che è intorno a 0,1%), perciò difficile da contenere e prevenire, tanto più che la maggior parte dei contagiati è asintomatica o con sintomi poco diversi dalla solita influenza. Avendo fatto da poco il salto di specie, il virus non trova ostacoli nella popolazione, senza difese anticorpali. Se si riuscirà a contenere la sua avanzata, come sembra sia avvenuto in Cina e nella Corea del Sud, grazie ad efficaci metodi di riduzione dei contatti tra le persone, ci sarà comunque un significativo numero di decessi tra la popolazione più anziana e soprattutto con patologie pregresse. Dobbiamo poi sperare che, come succede per altre infezioni da raffreddamento, con la stagione più calda si possa avere un’attenuazione della diffusione, ma di questa ipotesi non c’è alcuna certezza e l’evoluzione della pandemia è ancora tutta da scoprire.

In ogni caso il pericolo maggiore sta nella rapida crescita dei contagiati, con un numero significativo di ospedalizzati e circa l’8% dei positivi che ha bisogno di un trattamento di terapia intensiva. Se il numero dei positivi con sintomi significativi dovesse crescere ancora molto, entrerebbe in crisi il sistema sanitario, non solo perché non ci sarebbero posti per tutti nella terapia intensiva, ma si sottrarrebbero posti letto per gli altri malati, anche molto gravi (traumatizzati, oncologici, ecc.).
Per queste ragioni è fondamentale contenere la diffusione con ogni intervento che riduca i contatti personali e risulta incredibile la proposta fatta in Gran Bretagna da Boris Johnson, di lasciare che l’epidemia si diffonda nel paese fino ad un contagio del 60-70% della popolazione, per ottenere l’immunità di gregge: questa ipotesi significherebbe che circa 40 milioni di inglesi verrebbe contagiata e che, con i dati attuali di letalità (confermati anche dall’OMS), ci sarebbero circa un milione di decessi provocati o direttamente dal virus o dall’interazione tra virus e precedenti malattie. Inoltre non c’è alcuna certezza di una adeguata immunità di gregge sia perché per certe epidemie virali serve superare l’85% della popolazione infetta, sia perché sembra che possano esserci delle ricadute, anche in persone già guarite, data la probabile mutabilità del virus.

Come evitare pandemie future

Questa pandemia può costituire un utile avvertimento, per evitare nuove e più gravi pandemie, sicuramente probabili. Il Covid-19 è una reazione (tra le altre) allo stato di stress che abbiamo causato al pianeta e quindi per prevenire nuovi eventi simili dobbiamo ridurre le alterazioni dell’ambiente, come la perdita di biodiversità, l’alterazione degli habitat e i cambiamenti climatici, favorendo processi produttivi industriali ed agricoli basati sull’economia circolare, sostenibili, con ricorso a fonti energetiche rinnovabili.
Già pochi mesi di blocco dei movimenti delle persone e di parziale riduzione di attività produttive hanno portato ad un netto miglioramento della qualità dell’aria sia in Cina che in Italia (soprattutto nel Veneto): questo dato va colto non come futura necessità di impedire la circolazione delle persone e delle merci o di non produrre beni necessari, bensì di ripensare i trasporti e le produzioni industriali ed agricole, in particolare ridurre gli allevamenti animali: attualmente vi sono nel mondo 1,5 miliardi di bovini, 1 miliardo di suini, oltre 1,5 miliardi di ovini e caprini e circa 50 miliardi di volatili. La massa degli animali allevati è ben maggiore di quella di tutti gli esseri umani, con enormi sprechi di cibo, forte inquinamento e forte aumento di virus e batteri che possono fare il salto di specie. Inoltre l’abuso in zootecnia di antibiotici è responsabile anche dell’aumento di batteri resistenti agli antibiotici, vanificando uno degli strumenti a nostra difesa da queste infezioni. Oltre a nuove pandemie virali, il futuro potrebbe riservarci una diffusione pandemica di nuovi batteri resistenti ad ogni trattamento farmacologico.

Non possiamo dimenticare, nell’ottica di “carestie, pandemie, guerre”, che stiamo assistendo a continue guerre locali, come quella in Siria, ma se la guerra diventasse globale, rischiamo la catastrofe conseguente all’uso di armi nucleari.
Secondo l’OCSE (rapporto del 2018 sulla fragilità degli stati) entro il 2030, fino a 620 milioni di persone, circa l’80% della popolazione più povera nel mondo, vivrà all’interno di Stati fragili, che attraversano situazioni di emergenza, esposti a conflitti, epidemie, povertà estrema, come effetti dei cambiamenti climatici. Queste popolazioni, così fragili ed indebolite, sono “terreno fertile” per la diffusione di epidemie, che, attraverso le inevitabili migrazioni, diverranno gravi pandemie: dobbiamo porre un freno a questo suicidio di massa, non solo cambiando il modo di produrre, di utilizzare le risorse naturali, ma cambiando completamente il paradigma culturale, economico, sociale e politico che ci ha portato a questo punto, che rischia di essere “un punto di non ritorno”.

Ma la pandemia ha anche messo in evidenza carenze dei sistemi sanitari nazionali, soprattutto di quei paesi dove si è scelto di smantellare il sistema pubblico: invertire questa tendenza e finanziare adeguatamente le strutture sanitarie pubbliche, insieme alle politiche di prevenzione, sarà un fondamentale argine a future pandemie.



lunedì 9 marzo 2020

COMUNICATO STAMPA LEGAMBIENTE PIEMONTE E VDA: NON SI USI L'EMERGENZA SANITARIA PER CANCELLARE NORME AMBIENTALI




Torino, 9 marzo 2020                               Comunicato stampa

CORONAVIRUS
LEGAMBIENTE: non si usi l’emergenza sanitaria per cancellare norme ambientali.
Tutela ambientale ed economia non possono essere percepite come scelte alternative

Pochi giorni il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, ha invitato ad abbandonare l’idea di un  Green New Deal europeo. "Dobbiamo fare un'operazione completamente diversa. Qui c'è una operazione italiana in cui dobbiamo pensare di usare tutte le risorse disponibili quanto prima per attivare infrastrutture e cantieri".

Oggi è il turno della giunta Regionale del Piemonte che, per bocca dell’Assessore al Lavoro, Elena Chiorino chiede all’Esecutivo di “mettere da parte le ideologie” e di procedere per l’immediata sospensione, per tutto il 2020, della «plastic tax» e della «sugar tax».

“E’ irricevibile l’accusa di essere ideologici quando si parla di tutela ambientale – dichiara Giorgio Prino, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – Ed è profondamente scorretto e strumentale approfittare di un’emergenza sanitaria per cercare di smontare norme e indicazioni che vanno verso una maggiore tutela ambientale. Soprattutto quando il tentativo di affossarle risale a ben prima della contingente emergenza sanitaria”.

“E’ necessario uscire dall’impostazione che vede attività economiche e tutela ambientale come antagonisti – continua Giorgio Prino - Non è possibile continuare a crogiolarsi in un modello di sviluppo che prevede cantierizzazione e cementificazione come unico modello di sviluppo possibile.

L’emergenza sanitaria non cancella quella climatica e ambientale: va ad aggiungersi ad essa e da essa non può prescindere.

Ufficio stampa Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta: 011.2215851 – 339.2272687

domenica 8 marzo 2020

AMIANTO E TERZO VALICO - LETTERA APERTA


3 marzo 2020 LETTERA APERTA A:


Rete ferroviaria italiana, Consorzio Co.civ, Commissario al Terzo Valico dei Giovi, Osservatorio ambientale Terzo Valico dei Giovi, ARPA Piemonte, Regione Piemonte- Settore opere pubbliche, Amministrazioni dei Comuni interessati da scavo, transito e deposito materiale

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In genere la quantità di minerali di amianto è risultata modesta. Le procedure specifiche per determinare la pericolosità nei riguardi del rilascio di fibre ha (sic!) evidenziato la loro non pericolosità”.
Questo è quanto si legge sul sito dedicato alla grande opera in costruzione TerzoValico.it

Eppure, dalle informazioni dell’Osservatorio Ambientale sulla linea Terzo Valico dei Giovi sono moltissimi i cantieri e i siti di deposito con presenza di pietre verdi o rocce sospette di contenere amianto. In particolare, le cave Guarasca 2 e Bolla di Spinetta, il deposito Cascina Clara e Cascina Buona, teatro dell’ultimo incidente mortale, in ordine di serie, del 20 gennaio 2020, i cantieri di Castagnola, Radimero, Moriassi e Novi Ligure.

Concentrazione inferiore ai 1000 mg/Kg che è il limite stabilito per legge, sia chiaro: peccato però che contro tale limite e contro la metodologia di misurazione del contenuto di amianto nello smarino, ci si sia battuti in passato ritenendoli del tutto inadeguati, arrivando a proporre, anche, un abbassamento del limite di un ordine di grandezza (< =100 mg/Kg).

Non siamo stupiti nel leggere dalla stampa (Giornale7 01.03.2020) che “Nel cantiere arquatese da alcuni anni si sta scavando il tunnel appenninico verso Genova e ora, come confermano dalla Regione, c’è il fondato timore che la talpa meccanica, arrivata a ridosso delle sorgenti di Sottovalle (a rischio distruzione) incontri notevoli quantità di amianto. Per questo, il cantiere è stato attrezzato per affrontare l’emergenza, con particolari attenzioni nello scavo, nella tutela dei lavoratori e nello smaltimento dello smarino”.

Sono i nostri timori che si avverano: semplicemente oggi si incontrano terre e rocce con valori più alti di quelli (per noi già eccessivi) incontrati sinora.

Per questo materiale l’Allegato 4 al D.M. 161/2012, definisce ad oggi le modalità per la caratterizzazione e la soglia di concentrazione dell’amianto (1000 mg/kg) per ritenere tale materiale sottoprodotto, e quindi buono per i siti di deposito, oppure ritenerlo, se di concentrazione uguale o superiore, rifiuto con l’attribuzione del codice CER “17.05.03*” e consequenziali modalità di gestione e smaltimento in discarica.

E ancora (La Stampa del 29.02.2020)

..” È stato infatti necessario riallestire la fresa poiché il tunnel, arrivato a 3,6 chilometri, sta per incontrare una «zona rossa», ricca cioè di pietre verdi, a rischio amianto. L’attività dovrà quindi tenere conto delle precauzioni del protocollo amianto, redatto dopo che cittadini e sindaci, nel 2013, avevano evidenziato il problema del pericoloso minerale. Lo smarino, trasferito all’esterno con un nastro trasportatore, dovrà essere continuamente bagnato e l’aria monitorata in maniera più assidua rispetto a oggi”
Ricordiamo a tutti che, come riportato nel Protocollo di gestione della comunicazione al Cittadino– Amianto dell’Osservatorio Ambientale Terzo Valico dei Giovi - Linea AV/AC Milano-Genova, per quanto riguarda il tema della concentrazione di amianto in aria negli ambienti di vita si assume come indicatore di riferimento, il valore guida di 1 fibra di amianto/litro.

Nel constatare ancora una volta l’inadeguatezza e la superficialità con cui sono state condotte le analisi ante operam nel corso dei trent’anni di gestazione di tale infrastruttura, le nostre associazioni chiedono a tutti i destinatari della presente che i cittadini vengano informati, così come prevede il Protocollo Amianto:

• sui motivi della mancata comunicazione in merito alla attuale emergenza amianto pur essendo, peraltro, molteplici le figure che siedono al tavolo dell’Osservatorio ambientale;

• sulle informazioni contraddittorie che risultano scritte nel principale organo di informazione on line, accessibile al pubblico e gestito dal general contractor dell’opera (peraltro non aggiornato);

• sul contenuto del Protocollo amianto, a cui fanno riferimento gli articoli di stampa;

• sulle prescrizioni che verranno poste in essere a tutela dei lavoratori e dei cittadini;

• sui tempi e le procedure con cui si metteranno in pratica le modalità di monitoraggio, di campionamento e le relative frequenze per le diverse modalità di scavo;
- i livelli di allerta in caso di rischio;
- i punti di monitoraggio delle fibre aero disperse, individuati nelle aree soggette ad esposizione e sulla base della natura dei luoghi.


così come indicato nel sopra menzionato sito;

- sulle modalità e sulle destinazioni di smaltimento dello smarino contenente amianto;

- sul trattamento e smaltimento delle acque reflue, a seguito del lavaggio dei mezzi, dei nastri trasportatori, delle strade ecc., tenuto conto che i materiali bagnati in continuazione abbassano potenzialmente il rischio ma una volta asciutti si torna alla originaria situazione di pericolo;

- sulla provenienza e sul consumo di acqua necessaria per l’espletamento delle prescrizioni menzionate dalla stampa;

- sull’ente di competenza che svolgerà il controllo in merito alla corretta applicazione delle procedure di emergenza. A tale proposito, auspichiamo fermamente che al General Contractor Cociv non debba essere lasciata alcuna delega alla verifica dei materiali estratti e che le loro analisi abbiano esclusivamente un valore interno alla loro azienda.

- sull’ammontare degli ulteriori costi sociali che dovranno essere sopportati dalla collettività, in termini di maggiori rischi per la salute, e il piano di gestione degli stessi, sia sotto l’aspetto tecnico-operativo sia sotto l’aspetto finanziario.


Attendiamo un vostro immediato e doveroso riscontro alla collettività

Legambiente Val Lemme, legambiente.vallemme@gmail.com


Legambiente Ovadese Valli Orba e Stura-Progetto ambiente, legambientedellovadese@gmail.com


Comitato Torrente Orba, comitato.torrente.orba@gmail.com


https://www.giornale7.it/amianto-il-silenzio-di-rfi-e-coci…/


https://www.lastampa.it/…/terzo-valico-la-talpa-entra-nella…








IL CIRCOLO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

A tutti i soci e gli amici che ci leggono,
vi mandiamo  un breve pensiero mentre affrontiamo questa surreale situazione in continuo divenire .
A causa dell'epidemia in corso, siamo ufficialmente rientrati nella zona con limitazioni di spostamento e dunque il circolo sospende gli appuntamenti e le attività che aveva in programma, in ottemperanza a quanto deciso dalle autorità.
Ci concentreremo sull'attività di monitoraggio e di analisi dei provvedimenti, disegni o proposte di legge cercando di dare il nostro contributo, ove possibile.
Comunque sia, viviamoci questo tempo sospeso dedicandolo a chi e a ciò che più ci fa piacere: sicuramente, aumenteranno le nostre difese immunitarie!
Continuate a seguirci sui nostri social.
Un abbraccio,
Paola

Per

LEGAMBIENTE CIRCOLO VAL LEMME Odv
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sabato 7 marzo 2020

DDL 83/2020: PETIZIONE CONTRO LA PROPOSTA DI RIAPERTURA DELLA CACCIA A SPECIE PROTETTE

Da GreenReport 

La Regione Piemonte: sì alla caccia ad altre 15 specie. Gli scienziati naturalisti: vi spieghiamo perché è sbagliato

L’analisi degli esperti di GPSO e ANP specie per specie: sono tutte minacciate di estinzione o con popolazioni ridotte
[5 Marzo 2020]

Con la proposta contenuta nel Disegno di Legge 83/2020, la Giunta regionale di centro-destra del Piemonte vuole modificare la Legge Regionale 19 giugno 2018, n. 5 sula caccia vigente, già oggetto di lunghe contestazioni e di pronunciamenti del TAR, e consentire la caccia in Piemonte a 15 specie di uccelli e mammiferi selvatici attualmente protette e che, secondo i dati raccolti dai ricercatori del GPSO – Gruppo piemontese studi ornitologici e dell’ANP – Associazione naturalistica piemontese, sono «minacciate di estinzione o comunque presenti con popolazioni così ridotte da non giustificare un prelievo come quello ipotizzato».
GPSO e ANP spiegano che «Si tratta di 6 specie di anatre: Fischione, Canapiglia, Mestolone, Codone, Marzaiola, Moriglione; di altre 5 specie di uccelli acquatici: Folaga, Porciglione, Frullino, Pavoncella, Combattente, di specie delle zone aperte come l’Allodola, del Merlo e di specie caratteristiche ed esclusive delle alte montagne, la Pernice bianca e la Lepre variabile».... (continua al link sopra indicato)


Modifiche alla legge sulla caccia: ci giunge notizia che sia stata stralciata dalla legge regionale di stabilità, ma portata in un "decreto omnibus", quindi dobbiamo muoverci molto velocemente.


Gli aspetti più deleteri della proposta della giunta sono:

a)      Aumento di 15 unità delle specie cacciabili, tra cui il merlo e l'allodola
b)      Fortissimo ridimensionamento del legame cacciatore-territorio
c)      Caccia di selezione agli ungulati consentita anche in orario notturno
d)     Agevolazione dell’arrivo in Piemonte di cacciatori foranei, ora limitato tra il 5% e il 10% del totale
e)      Immissioni di animali d’allevamento “pronta caccia” tutto l’anno.
f)       Cancellazione della norma che avrebbe consentito ai proprietari dei fondi di vietare la caccia sui propri terreni, divieto ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale, superando così quanto previsto dall'art. 842 C.C.


Abbiamo una petizione on-line che nella sola mattinata di oggi ha superato le 500 firme; si trova in:

https://www.change.org/p/alberto-cirio-fermiamo-la-strage-di-uccelli-in-piemonte?recruiter=382925480&utm_source=share_petition&utm_medium=facebook&utm_campaign=share_petition&utm_term=Search%3ESAP%3EIT%3EBrand%3EGeneral%3EExact&recruited_by_id=cd1c8a50-5a63-11e5-8f88-9d82ebe85402&utm_content=starter_fb_share_content_it-it%3Av7


Vi chiediamo, se potete, di firmarla e di diffonderla tra tutti i vostri contatti. Possiamo farcela solo se saremo in molti e molto veloci!

martedì 3 marzo 2020

#laprotestadeipescidifiume - AGGIORNAMENTO APPELLO

⬇⬇⬇  SOS SOS SOS  ⬇⬇⬇
Carissim@
di seguito un ultimo aggiornamento su quanto insieme a Free Rivers abbiamo deciso di fare per evitare che SNPA applichi le Direttive Distrettuali e non le tabelle 11 e 13.
Questi i fatti. Dopo “la protesta dei pesci di fiume” forti della notevole partecipazione avuta, abbiamo scritto al Ministro Costa chiedendo un incontro ma non abbiamo ricevuto alcun riscontro.
Come ben sapete con la protesta chiedevamo il rispetto del FER e l’applicazione delle tabelle 11 e 13 da parte delle ARPA nelle valutazioni di idoneità agli incentivi. Invece, proprio nei giorni della nostra protesta, SNPA ha pubblicato sul suo sito un decreto del Consiglio SNPA risalente al novembre 2019 con cui dà la possibilità alle ARPA di applicare le Direttive Distrettuali e non le tabelle 11 e 13 delle linee guida come prescritto dal FER, come da noi richiesto e auspicato per evitare i ben noti danni agli ecosistemi fluviali.
Questa totale mancanza di attenzione alle nostre istanze ci ha indotti a consultare un legale: l’avvocato Matteo Ceruti, professionista di nostra fiducia che da tempo segue le problematiche legate all’idroelettrico.
L’avvocato Ceruti ha predisposto per noi una diffida ai Ministeri competenti, al SNPA e alle Arpa, alla quale molto probabilmente conseguirà una segnalazione alla Commissione Europea.
Domani dovrebbe partire una diffida alle Arpa, a ISPRA, a SNPA e ai due Ministeri una nota/diffida che chiede:
- a SNPA di integrare la delibera mediante l'espressa precisazione di rispetto del DM Fer 1 e quindi delle tabelle 11 e 13 del deceto STA 29;
- alle Arpa di dare applicazione allo stesso decreto o comunque di sospendere le decisioni nelle more dell'integrazione da parte di SNPA;
- ai due Ministeri di prendere espressa posizione per confermare l'esattezza dell'impostazione interpretativa seguita nella nota.
Il tutto riservandoci, in caso di risposta negativa o di mancata risposta entro dieci giorni, di segnalare alla Commissione UE la violazione della Direttiva Quadro Acque e la scorretta attribuzione degli aiuti di stato a impianti che non la rispettano.
La diffida e la successiva segnalazione alla Commissione Europea saranno sottoscritte in primis dai presidenti nazionali di Legambiente e Free Rivers. A questi si sono aggiunti la Federazione nazionale Pro Natura, Mountain Wilderness, Arci Pesca, Spinning Club Italia. Stiamo anche raccogliendo contributi poiché è previsto un costo di alcune migliaia di euro per le spese legali. Qualora si volesse dare un sostegno economico, anche piccolo, il riferimento del conto corrente è :
Coordinamento Nazionale Tutela Fiumi - Free Rivers Italia
IBAN IT24 T058 5661 2400 7457 1420 404
BIC BPAAIT2B074
Banca Popolare dell'Alto Adige filiale di Forno di Zoldo.
Cari saluti
Vanda

ARTIFISHAL - DOCUMENTARIO SUI SALMONI SELVAGGI E FIUMI INCONTAMINATI: DA VEDERE!



Da ReteFiumi, ci segnalano questo film, prodotto e realizzato da  Patagonia, Inc.© 2019 nell'ambito del loro progetto Patagonia © Action Works:

La strada verso l'estinzione è lastricata di buone intenzioni
Abbiamo realizzato il film Artifishal per difendere i salmoni selvaggi e i fiumi incontaminati e per evidenziare i costi devastanti - ecologici, finanziari e culturali - dell'arroganza umana. Se c'è un futuro per il salmone e le comunità che dipendono da esso, è nella consapevolezza che il miglior vivaio è un fiume sano.

Artifishal è ora disponibile gratuitamente su YouTube.
Scendi in campo e proteggi i pesci selvaggi
Tutti noi possiamo prendere parte alla difesa dei pesci selvatici e delle acque che tanto amiamo. Visita Patagonia Action Works per sapere come puoi contribuire: supportando, diventando volontario o donando alle organizzazioni ambientaliste che lottano per la salvaguardai dei pesci selvatici!

Foto: (in alto) BEN MOON