Gianni Tamino
Laureato in Scienze Naturali, dal 1974 è
docente di Biologia generale e dal 2001 di Fondamenti di Diritto ambientale al
Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova; fa inoltre parte del corpo
docente del Corso di specializzazione in Bioetica a Padova.
Ha svolto ricerche sugli effetti mutageni e
cancerogeni degli inquinanti ambientali e, più recentemente, sugli effetti
ambientali e sanitari delle biotecnologie e, in particolare, degli organismi
transgenico.
Nel 1985 è stato tra i promotori del referendum
antinucleare e nel 1996 si è recato a Cernobyl, nel decennale dell’incidente,
con una delegazione di parlamentari e di esponenti di Lega Ambiente.
È stato membro del Comitato Nazionale per la
Biosicurezza e le Biotecnologie, presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri e, in particolare, del Gruppo di lavoro sui rischi biologici, e della
Commissione Interministeriale per le Biotecnologie.
Pandemie e
condizioni del Pianeta
L’obiettivo evolutivo di tutte le forme viventi
è la propria riproduzione, per colonizzare l’ambiente di vita, obiettivo che
entra in relazione, talora conflittuale, con lo stesso obiettivo riproduttivo
di tutti gli altri organismi: da queste relazioni si sviluppano gli equilibri
che caratterizzano gli ecosistemi e che pongono limiti alla crescita delle
popolazioni e dei consumi di ciascuna specie.
In ecologia si parla di carrying
capacity (o capacità di carico) per spiegare che, sulla base delle
caratteristiche di un ecosistema, gli individui di una popolazione non possono
superare i limiti imposti dalle risorse disponibili. Un classico esempio per
spiegare questo fenomeno è quello della relazione tra preda e predatore: alla
crescita del numero di predatori corrisponde una diminuzione significativa del
numero delle prede, che innesca – per scarsità di cibo – un conseguente calo
anche dei predatori.
Nel caso della popolazione umana si utilizzano
concetti simili a quelli di carrying capacity ma con
terminologie e metodi di valutazione un po’ diversi. Si parla di “impronta
ecologica”, cioè la misura del territorio in ettari necessario per produrre ciò
che un uomo o una popolazione consumano. Questa analisi facilita il confronto
tra regioni, rivelando l’impatto ecologico delle diverse strutture sociali e
tecnologiche e dei diversi livelli di reddito. Così l’impronta media di ogni
residente delle città ricche degli USA o dell’Europa è enormemente superiore a
quella di un agricoltore di un paese non industrializzato, per cui sul pianeta
un solo statunitense “pesa” più di 10 afgani.
L’Overshoot Day è, invece, il giorno in cui il
consumo di risorse naturali da parte dell’umanità inizia a superare la
produzione che la Terra è in grado di mettere a disposizione per quell’anno:
nel 2019 questo giorno è stato il 29 luglio. Dunque in circa sette mesi,
abbiamo usato una quantità di prodotti naturali pari a quella che il pianeta
rigenera in un anno. Il nostro deficit ecologico, pari a cinque mesi, provoca
da una parte l’esaurimento delle risorse biologiche (pesci, alberi ecc.), e,
dall’altra, l’accumulo di rifiuti e inquinamento, responsabile anche
dell’effetto serra. Le attività umane stanno, dunque, cambiando l’ambiente del
nostro pianeta in modo profondo e in alcuni casi irreversibile. Stiamo dunque
superando, anzi abbiamo già superato i limiti delle capacità del pianeta di
sostenere la popolazione umana e mettiamo a rischio la sopravvivenza di molte
altre specie. L’attuale sistema produttivo industriale ed agricolo sta
gravemente compromettendo anche la biodiversità del pianeta. Molte specie di
animali e di piante sono ridotte a pochissimi esemplari e, quindi, in pericolo
o, addirittura, in via di estinzione.
Le dimensioni e i consumi delle popolazioni
umane sono variati moltissimo nel corso dei millenni, ma ogni volta che le
risorse disponibili diventavano insufficienti, le popolazioni venivano
ridimensionate, attraverso sistemi di autoregolazione.
Fino a 12 mila anni fa la popolazione umana di
raccoglitori e cacciatori, già presente in tutto il pianeta, per motivi di
sostenibilità, cioè disponibilità di cibo, non superava probabilmente 1-2
milioni di abitanti, dato che ogni tribù doveva avere un ampio territorio di
raccolta e di caccia e quel cibo costituiva il limite alla crescita. Si
trattava di un sistema ben autoregolato e in equilibrio con il proprio
ambiente; in qualche modo le società di allora potevano essere felici, perché
utilizzavano quanto la natura offriva loro, senza un lavoro che occupava tutto
il tempo di vita e quindi con tempi adeguati per le relazioni e per il riposo,
come il mitico periodo dell’Eden.
In seguito, in varie zone del pianeta, come
nella mezzaluna fertile, in medio oriente, un importante cambiamento climatico,
con riscaldamento globale, diffusione di animali e piante nelle regioni in cui
il clima divenne più caldo e umido, favorì la cosiddetta rivoluzione neolitica,
cioè l’agricoltura e l’allevamento. In tal modo i limiti della crescita
demografica cambiarono perché, seminando piante e allevando animali, sullo
stesso territorio si potevano sfamare fino a 1000 persone anziché 40-50,
portando la popolazione ben oltre la dimensione di un paio di milioni. Tuttavia
quando l’annata dava raccolti scarsi o quando la popolazione cresceva troppo,
non restava altra via che la migrazione verso nuove terre da coltivare. Così
pian piano questa nuova cultura si estese, a partire dall’Anatolia, a tutta
l’Europa e, partendo da altre zone, a gran parte dell’Asia e parte dell’Africa.
In tal modo la popolazione mondiale arrivò prima a decine, poi a centinaia di
milioni di abitanti, già alcuni secoli avanti Cristo. Si stima che nell’Impero
Romano, tra il 300 ed il 400 d.C., vivessero tra 60 e 120 milioni di abitanti;
ma tale popolazione fu duramente colpita dalla cosiddetta Peste di Giustiniano,
che portò a decine di milioni di decessi. In pratica quando, in base alle
caratteristiche ambientali, climatiche, politiche e tecnologiche (capacità di
produrre cibo), si superava il limite demografico per quel territorio,
intervenivano fattori ambientali e sociali che riportavano la popolazione sotto
il limite. Analogamente tra il ‘300 e il ‘600 scoppiarono varie epidemie,
associate a carestie e guerre, come la peste decritta dal Manzoni ne “I
promessi sposi”, e la popolazione europea subì periodiche drastiche
riduzioni.
Anche l’emigrazione ha costituito un elemento
equilibratore dell’incremento demografico. La popolazione europea ha trovato,
dopo la scoperta dell’America, nuove terre da coltivare, spazi da abitare,
ricchezze da sfruttare, sottraendoli ai nativi che, oltre a essere massacrati,
venivano debilitati da epidemie di malattie portate dai conquistatori.
Oltre alle epidemie di peste già ricordate, nel
corso della storia umana, anche recente, si sono succedute molte altre epidemie/pandemie, alcune collegate a guerre e carestie.
Tra le molte succedutesi, vanno ricordate le
ricorrenti epidemie di tubercolosi, malaria, colera, dissenteria, AIDS, ebola e
soprattutto le recenti pandemie di influenza (spagnola, asiatica, Hong Kong,
suina e aviaria), oltre ad altri tipi di coronavirus, precedenti il Covid-19
(SARS e MERS). Ma non va dimenticata la comune influenza stagionale, che, pur
con un tasso di letalità inferiore a 0,1 (cioè meno di un decesso per mille
malati), causa ogni anno, secondo l’OMS, circa mezzo milione di morti in tutto
il mondo e secondo Epicentro, considerando
decessi diretti e per complicanze a malattie pregresse, si arriva a circa 8
mila morti all’anno in Italia.
Certamente il più rilevante ed interessante
caso recente di pandemia è quello dell’influenza spagnola (1918-20), forse la
peggiore pandemia della storia dell’umanità per numero di contagiati e di
morti. Tra il 1918 e il 1920 contagiò circa un terzo della popolazione
mondiale, mietendo molte decine di milioni di morti, dal momento che aveva una
letalità superiore al 2,5%. Mentre normalmente i tipi nuovi di virus attaccano
soprattutto anziani e persone debilitate, questo tipo di virus fu
particolarmente letale nei soggetti tra i 15 e i 44 anni. Venne chiamata
“Spagnola” perché fu comunicata per la prima volta dai giornali spagnoli, ma
l’origine venne poi identificata in un ospedale militare francese, a Etaples,
sovraffollato, impegnato a curare migliaia di soldati vittime di attacchi
chimici e di ferite di guerra: era un luogo ideale per la diffusione di un
virus respiratorio.
Questa pandemia, sorta sul finire della prima
guerra mondiale, mette in evidenza la relazione tra le limitate risorse, la
malnutrizione (carestia), la scarsa igiene e una popolazione, soprattutto
giovani militari ammassati al fronte, debilitata dalla guerra.
Come abbiamo visto, epidemie e pandemie sono
uno dei possibili meccanismi di controllo delle popolazioni, insieme a
carestie, guerre e migrazioni: quanto più si superano i limiti della
disponibilità di risorse del territorio, quanto più si altera l’ambiente di
vita, tanto più facilmente uno o tutti insieme questi meccanismi entrano in
funzione. La crescita della popolazione umana fino a più di 7 miliardi di
abitanti, è stata resa possibile dalla Rivoluzione Industriale, che ha
utilizzato enormi quantità di energia di origine fossile per attività
impensabili in precedenza, non solo nell’industria, ma anche in agricoltura,
con la cosiddetta Rivoluzione Verde.
Tuttavia il cibo ottenuto potrebbe sfamare
anche più di 7 miliardi di persone se venisse equamente distribuito e prodotto
in modo sostenibile, ma una iniqua utilizzazione delle risorse, una crescente
disparità tra pochi ricchi e molti poveri, una riduzione delle terre
coltivabili a causa della cementificazione, la perdita di fertilità dovuta alle
monocolture gestite chimicamente, l’inquinamento ambientale, l’alterazione del
clima, danno origine a frequenti casi di carestie e di malnutrizione in ampie
fasce della popolazione, soprattutto al sud del mondo.
A partire dalla rivoluzione industriale abbiamo
imposto un’economia lineare su un Pianeta il cui sistema produttivo funziona in
modo ciclico. La conseguenza è una continua crescita dell’inquinamento e un
cambiamento climatico sempre più minaccioso per il mantenimento degli
ecosistemi e della biodiversità. Tutto ciò comporta la morte prematura di molti
milioni di persone, ma anche un incremento di malattie cronico degenerative,
con conseguente indebolimento di tutta la popolazione, che risulta meno idonea
a difendersi da altre malattie come quelle infettive.
I cambiamenti climatici e la riduzione delle
foreste con l’alterazione degli habitat di molte specie animali, mette sempre
più facilmente a contatto animali selvatici con esseri umani, un contatto
ancora più stretto quando questi animali vengono catturati per essere venduti
in mercati affollati, rendendo più facile il salto di specie per i loro
patogeni (si pensi al virus di ebola).
Inoltre gli allevamenti, in particolare
di polli e suini, con concentrazioni di molti capi in spazi ridotti, alimentati
con mangimi contenenti antibiotici, favoriscono una forte pressione selettiva
sui loro virus e batteri, che mutano velocemente verso ceppi e tipi più
aggressivi anche verso la specie umana, come è avvenuto per l’influenza aviaria
e suina.
Un’ulteriore contributo alla diffusione di
agenti patogeni è dato poi dalla globalizzazione, che, grazie al frenetico
trasferimento in ogni parte del pianeta di persone e merci, favorisce il
passaggio da epidemie a pandemie.
La pandemia da
Covid-19
Dunque la nuova pandemia del virus Covid-19 era
prevedibile e ampiamente prevista, se non proprio nei termini e nei tempi
precisi, sicuramente come evento probabile.
Già nel 1972, nel rapporto del MIT per il Club
di Roma, dal titolo “I limiti dello sviluppo” si affermava che se la
popolazione mondiale continuava a crescere al ritmo di quegli anni, la
crescente richiesta di alimenti avrebbe impoverito la fertilità dei suoli, la
crescente produzione di merci avrebbe fatto crescere l’inquinamento
dell’ambiente, l’impoverimento delle riserve di risorse naturali (acqua,
foreste, minerali, fonti di energia) avrebbe provocato conflitti per la loro
conquista; malattie, epidemie, fame, conflitti avrebbero frenato la
crescita della popolazione.
Vi è poi il libro “Spillover”
di David Quammen; egli stesso spiega in una recente intervista: “Nel 2012,
quando il libro è stato pubblicato, ho previsto che si sarebbe verificata una
pandemia causata da 1) un nuovo virus 2) con molta probabilità un coronavirus,
perché i coronavirus si evolvono e si adattano rapidamente, 3) sarebbe stato
trasmesso da un animale 4) verosimilmente un pipistrello 5) in una situazione
in cui gli esseri umani entrano in stretto contatto con gli animali selvatici,
come un mercato di animali vivi, 6) in un luogo come la Cina. Non ho previsto
tutto questo perché sono una specie di veggente, ma perché ho ascoltato le
parole di diversi esperti che avevano descritto fattori simili.”
Questa pandemia, oltre a quanto già previsto da
Quammen, è caratterizzata da un nuovo virus, che risulta molto contagioso, con
letalità non molto elevata (circa 2-3%, comunque ben più alta della letalità
della normale influenza che è intorno a 0,1%), perciò difficile da contenere e
prevenire, tanto più che la maggior parte dei contagiati è asintomatica o con
sintomi poco diversi dalla solita influenza. Avendo fatto da poco il salto di
specie, il virus non trova ostacoli nella popolazione, senza difese
anticorpali. Se si riuscirà a contenere la sua avanzata, come sembra sia
avvenuto in Cina e nella Corea del Sud, grazie ad efficaci metodi di riduzione
dei contatti tra le persone, ci sarà comunque un significativo numero di
decessi tra la popolazione più anziana e soprattutto con patologie pregresse.
Dobbiamo poi sperare che, come succede per altre infezioni da raffreddamento,
con la stagione più calda si possa avere un’attenuazione della diffusione, ma
di questa ipotesi non c’è alcuna certezza e l’evoluzione della pandemia è
ancora tutta da scoprire.
In ogni caso il pericolo maggiore sta nella
rapida crescita dei contagiati, con un numero significativo di ospedalizzati e
circa l’8% dei positivi che ha bisogno di un trattamento di terapia intensiva.
Se il numero dei positivi con sintomi significativi dovesse crescere ancora
molto, entrerebbe in crisi il sistema sanitario, non solo perché non ci
sarebbero posti per tutti nella terapia intensiva, ma si sottrarrebbero posti
letto per gli altri malati, anche molto gravi (traumatizzati, oncologici,
ecc.).
Per queste ragioni è fondamentale contenere la
diffusione con ogni intervento che riduca i contatti personali e risulta
incredibile la proposta fatta in Gran Bretagna da Boris Johnson, di lasciare
che l’epidemia si diffonda nel paese fino ad un contagio del 60-70% della popolazione,
per ottenere l’immunità di gregge: questa ipotesi significherebbe che circa 40
milioni di inglesi verrebbe contagiata e che, con i dati attuali di letalità
(confermati anche dall’OMS), ci sarebbero circa un milione di decessi provocati
o direttamente dal virus o dall’interazione tra virus e precedenti malattie.
Inoltre non c’è alcuna certezza di una adeguata immunità di gregge sia perché
per certe epidemie virali serve superare l’85% della popolazione infetta, sia
perché sembra che possano esserci delle ricadute, anche in persone già guarite,
data la probabile mutabilità del virus.
Come evitare
pandemie future
Questa pandemia può costituire un utile
avvertimento, per evitare nuove e più gravi pandemie, sicuramente probabili. Il
Covid-19 è una reazione (tra le altre) allo stato di stress che abbiamo causato
al pianeta e quindi per prevenire nuovi eventi simili dobbiamo ridurre le
alterazioni dell’ambiente, come la perdita di biodiversità, l’alterazione degli
habitat e i cambiamenti climatici, favorendo processi produttivi industriali ed
agricoli basati sull’economia circolare, sostenibili, con ricorso a fonti
energetiche rinnovabili.
Già pochi mesi di blocco dei movimenti delle
persone e di parziale riduzione di attività produttive hanno portato ad un
netto miglioramento della qualità dell’aria sia in Cina che in Italia
(soprattutto nel Veneto): questo dato va colto non come futura necessità di
impedire la circolazione delle persone e delle merci o di non produrre beni
necessari, bensì di ripensare i trasporti e le produzioni industriali ed
agricole, in particolare ridurre gli allevamenti animali: attualmente vi sono
nel mondo 1,5 miliardi di bovini, 1 miliardo di suini, oltre 1,5 miliardi di
ovini e caprini e circa 50 miliardi di volatili. La massa degli animali
allevati è ben maggiore di quella di tutti gli esseri umani, con enormi sprechi
di cibo, forte inquinamento e forte aumento di virus e batteri che possono fare
il salto di specie. Inoltre l’abuso in zootecnia di antibiotici è responsabile
anche dell’aumento di batteri resistenti agli antibiotici, vanificando uno
degli strumenti a nostra difesa da queste infezioni. Oltre a nuove pandemie
virali, il futuro potrebbe riservarci una diffusione pandemica di nuovi batteri
resistenti ad ogni trattamento farmacologico.
Non possiamo dimenticare, nell’ottica di
“carestie, pandemie, guerre”, che stiamo assistendo a continue guerre locali,
come quella in Siria, ma se la guerra diventasse globale, rischiamo la
catastrofe conseguente all’uso di armi nucleari.
Secondo l’OCSE (rapporto del 2018 sulla
fragilità degli stati) entro il 2030, fino a 620 milioni di persone, circa
l’80% della popolazione più povera nel mondo, vivrà all’interno di Stati
fragili, che attraversano situazioni di emergenza, esposti a conflitti,
epidemie, povertà estrema, come effetti dei cambiamenti climatici. Queste
popolazioni, così fragili ed indebolite, sono “terreno fertile” per la
diffusione di epidemie, che, attraverso le inevitabili migrazioni, diverranno
gravi pandemie: dobbiamo porre un freno a questo suicidio di massa, non solo
cambiando il modo di produrre, di utilizzare le risorse naturali, ma cambiando
completamente il paradigma culturale, economico, sociale e politico che ci ha
portato a questo punto, che rischia di essere “un punto di non ritorno”.
Ma la pandemia ha anche messo in evidenza
carenze dei sistemi sanitari nazionali, soprattutto di quei paesi dove si è
scelto di smantellare il sistema pubblico: invertire questa tendenza e
finanziare adeguatamente le strutture sanitarie pubbliche, insieme alle
politiche di prevenzione, sarà un fondamentale argine a future pandemie.