Quale
futuro per le aree protette italiane?
I nostri padri
costituenti hanno posto la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e
artistico tra i principi fondamentali della Costituzione (art.9) ma da qualche
anno assistiamo all’indebolimento delle istituzioni di tutela, al venir meno
della coscienza del bene comune ch#e dovrebbe ispirarle, al generale
peggioramento del nostro paesaggio.
Nella Costituzione,
scrive Salvatore Settis, “non si parlava
di <<ambiente >> ma la Corte
costituzionale ha riconosciuto che la tutela dell’ambiente è valore costituzionale
primario e assoluto, in quanto espressione dell’interesse diffuso dei
cittadini, determinato dalla confluenza dell’articolo 9 con l’articolo 32,
secondo cui << la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell’individuo e interesse della collettività>>.
Concezione avanzatissima di <<ambiente>>,
secondo cui il danno ambientale danneggia la salute del corpo quanto il danno
paesaggistico può danneggiare l’equilibrio della nostra mente”.(1)
Gli articoli 9 e 32
della Costituzione sono le vere basi su cui si fonda l’attuale legge quadro sui
parchi, oggi sotto attacco.
Le prime proposte
di legge in materia di Parchi risalgono agli anni sessanta, anche su iniziativa
del CNR, e un altro disegno di legge prese corpo nel 1980 grazie alla
collaborazione tra Italia Nostra, WWF, CAI e l’allora Ministro dell’Agricoltura
Giovanni Marcora.
Nel corso di uno
storico convegno presso l’Università di Camerino nell’ottobre dello stesso anno
si parlò della necessità di tutelare entro la fine del secolo almeno il 10% del
territorio italiano ma il cammino della legge si presentò da subito accidentato
e il dibattito rimase confinato in ambienti ristretti.
In mancanza di una
legge quadro nazionale alcune regioni (da poco istituite) ritennero doveroso superare
le inadempienze dello Stato istituendo proprie aree protette per bloccare le
speculazioni che minacciavano ambienti di grande pregio.
Tra queste il
Piemonte costituì senza dubbio un punto di riferimento per il numero di Parchi
e Riserve Naturali e soprattutto per il sistema di gestione attraverso appositi
Enti strumentali (come quelli già operanti nei due parchi storici: Parco
d’Abruzzo e Gran Paradiso), con un Presidente, un Consiglio direttivo, un
Direttore e dei dipendenti (amministrativi, tecnici e vigilanza) , di gran
lunga più efficaci dei Consorzi di Comuni.
Negli anni
successivi l’iter della legge quadro venne
ancora ostacolato e rinviato dai soliti conflitti di competenze tra Stato e
regioni, dagli interessi particolaristici di potenti gruppi di pressione in
grado di influenzare diverse componenti del Parlamento, ma anche a causa delle
sacche di arretratezza culturale sui temi della conservazione della natura
La decima
legislatura (1987-1992) vide l’ingresso in parlamento di un gruppo di deputati
sensibili alle istanze ambientaliste, istanze per altro perfettamente in linea
con l’ art. 81 del D.P.R. 616 del 1977 (istituzione delle Regioni) che riservava allo Stato l’identificazione delle
«linee fondamentali dell’ordinamento del territorio nazionale, con particolare
riferimento ... alla tutela paesistica ed alla conservazione del suolo».
In quel periodo denso
di speranze l’attenzione e la curiosità verso la problematica ambientale venne
dimostrata anche da parlamentari appartenenti a partiti tradizionali con
l’emanazione di importanti provvedimenti: la legge 431/1985 (c.d. legge
Galasso) aveva ribadito la prevalenza della tutela ambientale rispetto alla
funzione urbanistica, la 349/1986 aveva istituito il ministero dell’Ambiente e la
183/1989 aveva finalmente affrontato la difesa del suolo con la pianificazione
a scala di bacino idrografico e l’istituzione delle Autorità di Bacino, dove
gli interessi paesaggistici e ambientali
venivano direttamente tutelati dallo Stato.
E’ di quel periodo
anche la legge quadro sui Parchi 6 dicembre 1991 n. 394 (attualmente in vigore)
che venne approvata in via definitiva alla Camera dei deputati il 20 novembre
1991: un evento storico poiché a cinquantadue anni dalla legge 1497/39
“Protezione delle bellezze naturali” il
Paese si dotava di una normativa organica e unitaria con una visione globale,
comprensiva anche della protezione dei valori ecologici e scientifici.
Ministro
dell’Ambiente era Giorgio Ruffolo ma occorre ricordare, tra gli altri,
soprattutto gli Onorevoli Gianluigi Ceruti (Relatore e “padre” della legge),
Piero Angelini, Gianni Mattioli, Laura Cima, Anna Donati e Antonio Cederna “colui che per decenni è stato il più lucido,
coraggioso, efficace difensore del territorio, dell'ambiente e del patrimonio
culturale degli italiani” (come l’ha definito Tomaso Montanari nel
ventesimo anniversario della morte). (2)
Le aree protette
hanno un ruolo strategico per la tutela di beni preziosi come l’acqua, i
boschi, la biodiversità, il paesaggio e rappresentano uno strumento della
pubblica amministrazione che si distingue per la capacità di recuperare risorse
da bandi e progetti ambientalmente compatibili di varia provenienza.
Inoltre le loro strutture
sono le più idonee alla gestione dei siti della Rete Natura 2000 per il
raggiungimento degli obiettivi ambientali comunitari.
Parchi e Riserve
Naturali, se ben governati e distanti da interessi particolari, costituiscono
gli ultimi baluardi alla svendita e privatizzazione di beni comuni e al consumo
irresponsabile di territorio, sperimentando modelli di sviluppo realmente
sostenibile per garantire un futuro alle prossime generazioni, ma da anni
stanno vivendo una crisi senza precedenti tra scarse risorse economiche, piante
organiche ridotte per ben tre volte, interessi economici che ne minacciano
l’integrità; problematiche che non derivano certo dalla validità della legge
quadro, ma da precise volontà politiche. Per dirla con Mario Tozzi “ alle 23
perle naturalistiche del Belpaese va meno di quanto occorre per costruire un km
della variante di valico autostradale Bologna-Firenze”. (3)
Dal 2009, con la
crisi economica, sono iniziati i tentativi di modifica della legge costata anni
di fatiche, con proposte che sono sembrate da subito peggiorative come
l’introduzione delle “attività umane” quali oggetto di tutela e la conseguente
possibilità di abbattere anche specie particolarmente protette e la previsione
di finanziamenti ai parchi da parte dei gestori di opere di forte impatto
ambientale come cave e impianti energetici.
Va detto in
proposito, a onor del vero, che non mancano esempi di utilizzo di attività
private per restituire naturalità ad ambienti degradati (ad esempio il recupero
di esistenti siti di cava in parchi regionali) ma c’è il rischio che opere oggi
vietate nelle aree protette siano addirittura incentivate per far cassa.
Anche per quanto
riguarda i parchi regionali da anni le cose non sembrano andare nel migliore
dei modi tra tagli ai finanziamenti, mancanza di personale di vigilanza, accorpamento
degli Enti parco in un unico soggetto, riduzione delle superfici, nuovi
progetti di infrastrutture devastanti ed estromissione degli ambientalisti (specialmente
quelli espressi dalle associazioni storiche realmente riconosciute a livello
nazionale) dai consigli direttivi.
In occasione del
ventennale della legge, alla fine del 2011, da una serie d’incontri e dibattiti
sono emerse indicazioni per un rilancio della politica dei parchi per dare piena
attuazione alla 394, da anni bellamente ignorata, senza escludere a priori veri
e auspicabili miglioramenti basati anche sull’esperienza di chi i Parchi li
vive. Si pensi ad esempio alla vigilanza nei Parchi nazionali (fatta eccezione
per i due storici) affidata non a Guardiaparco dell’Ente di gestione ma a
personale del Corpo Forestale che non fa
capo all’Ente Parco; uno scollegamento che la riforma in corso con il passaggio
all’ Arma dei carabinieri può contribuire ad accentuare.
Il sistema dei
Parchi non deve essere stravolto ma potenziato anche alla luce dei nuovi
principi in tema di conservazione della natura e ai relativi obblighi
internazionali che impegnano il nostro Paese; nel 1991, quando la legge entrò
in vigore, non c’erano la Convenzione internazionale sulla biodiversità, la
Strategia nazionale per la biodiversità, la rete Natura 2000 e la Convenzione
Europea sul Paesaggio.
Non è colpa della
legge quadro se alcuni parchi nazionali non hanno un piano, sono senza
direttivo, sostituito da un commissario, o sono senza direttore. Sarebbe
necessario l’interessamento del Ministero dell’Ambiente e sarebbe utile un
confronto attraverso la convocazione di una nuova Conferenza Nazionale dei
Parchi.
I veri e necessari miglioramenti
non ci sono stati e, al contrario, i tentativi di modifica nati in seno al PDL
sono proseguiti in casa PD con nuovi emendamenti-stravolgimenti e le solite
giustificazioni (la legge è datata, bisogna semplificare la burocrazia, ecc.)
Queste sono alcune
delle novità giudicate peggiorative:
- sono introdotte
le royalities per i parchi che ospitano iniziative dannose per l’ambiente con il rischio, ad esempio, di condizionare i
pareri sulle attività di cava e di estrazione di idrocarburi. L’indipendenza
degli Enti parco sarebbe compromessa.
- la carica di
Presidente (nominato, per i Parchi Nazionali, con decreto del Ministro
dell'ambiente) è incompatibile con qualsiasi incarico elettivo ma manca ancora
una definizione chiara e adeguata delle competenze di questa figura.
- è alterato il
bilanciamento dei poteri tra l’interesse pubblico nazionale e quello locale
dando peso alle rivendicazioni locali sia nella composizione degli organismi
dirigenti sia nella nomina del direttore, non più nominato dal Ministro, ma dal
Consiglio del Parco. Il direttore non è più scelto tra soggetti iscritti a un
albo specifico ma anche tra “dirigenti pubblici, funzionari pubblici con almeno
cinque anni di anzianità nella qualifica, persone di comprovata esperienza
professionale di tipo gestionale”.
Questa modifica non
metterà più al primo posto il merito, l’esperienza e le competenze in materia
di tutela ambientale ma l’”affidabilità”. Per i direttori dei musei la ricerca
della competenza è stata fatta anche fuori dei confini nazionali; perché per i
Parchi la competenza ha meno valore?
- cambia l'iter
delle nomine degli organi direttivi: i consigli saranno formati per metà da
componenti scelti dalla Comunità del parco (gli enti locali) e per metà da
esperti. Tra gli esperti (il cui numero viene ridotto rispetto al testo
attuale), rientrano però anche portatori d’interesse economico: le associazioni
agricole nazionali. L’agricoltura è certamente importante (come peraltro altre
attività all’interno dei Parchi) ma c’è il rischio che la tutela dell'area
passi in secondo piano e che gli Enti parco siano consegnati alle logiche di degenerazioni
localistiche e partitiche. Un altro segno della volontà di indebolire il vero
obiettivo del Parco: la Conservazione della Natura.
- la caccia nelle
cosiddette “aree contigue” ed esterne ai parchi sarebbe permessa non più solo
ai residenti, come si prevede con la 394,
ma anche a cacciatori provenienti dall’esterno. Viene vanificato il
principio del “cacciatore legato al territorio”.
- per le aree
protette marine la proposta contiene ipotesi più preoccupanti di quelle
previste per i parchi terrestri: i parchi naturali regionali sono costituiti solo
da aree terrestri, fluviali e lacuali e non più eventualmente da tratti di mare
prospicienti la costa, di valore naturalistico e ambientale. Non più omologate
ai Parchi, queste aree sono lasciate in una situazione di completa
indeterminatezza.
Nel giugno dello
scorso anno numerosi scienziati, naturalisti, botanici, ambientalisti, ex
presidenti nazionali e regionali del WWF hanno chiesto all’organizzazione, che
fu a suo tempo attiva nella stesura della legge quadro, di svolgere un ruolo
esterno di proposta e di critica rigorosa.
In ottobre 17
associazioni (non solo ambientaliste) e un gruppo di 30 esperti di natura e
gestione delle aree protette hanno inviato ai parlamentari un documento con le richieste
di modifica della legge (miglioramenti anziché stravolgimenti) in vista della
votazione in aula.
Il 10 novembre il
Senato ha approvato e inviato alla Camera la proposta di legge ma le poche
modifiche apportate dall’Assemblea in sostanza non incidono sul contenuto del
documento; nonostante qualche miglioramento, rispetto al testo del 1991, il
giudizio sull’intera proposta rimane fortemente negativo.
Un mese dopo, a
seguito della bocciatura del referendum costituzionale, è entrato in carica il
nuovo governo ma per ora nulla sembra cambiare.
In questi anni non
è solo l’economia a essere in crisi; un’altra crisi, a essa legata e più
meritevole di attenzione, è quella ambientale ma l’opinione pubblica non pare
essere adeguatamente informata e sembrano ormai lontanissimi i tempi in cui
Federico Fazzuoli, nel corso delle sue trasmissioni televisive, parlava di
ambiente e intervistava responsabili e operatori dei Parchi facendo emergere i
problemi di gestione.
Oggi si parla quasi
esclusivamente di enogastronomia e di sfruttamento di risorse ma i Parchi
italiani sono stati istituiti per molte altre ragioni: sono uno tra i migliori
strumenti per conservare la natura, promuoverne la conoscenza, fermare
l’impoverimento della biodiversità, contrastare il dilagare della
cementificazione, difendere il paesaggio e i beni culturali. Devono poter
svolgere pienamente il loro ruolo.
(1) Salvatore Settis, “Costituzione – Perché attuarla è meglio che
cambiarla”, Einaudi, 2016 Pag. 144
(2) Tomaso Montanari, http://articolo9.blogautore.repubblica.it/2016/08/27/antonio-cederna-e-vivo/
(3) Mario Tozzi, “Attenti a non ridurre la natura agli
interessi dell’uomo”, La Stampa
2-2-2017
Piero Mandarino
Consigliere Ente di gestione delle aree
protette del Po vercellese-alessandrino
20-3-2017
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