mercoledì 23 febbraio 2022

 

Proseguono gli incontri organizzati dal Circolo Legambiente Val Lemme utilizzando Google Meet, ecco l'invito per la prossima serata,

Giovedì 24 febbraio ore 20:30 su Google Meet.

Ennio Cirnigliaro ci parlerà di:

"L'Alto Medioevo in Valle Scrivia dai Castelli ai Borghi Nuovi" 

chi fosse interessato a partecipare invii una mail a: 

mandarino.piero@gmail.com

oppure a:

mario@casaprian.it

 

Vi aspettiamo!

 

giovedì 17 febbraio 2022

Peste suina africana in Liguria e Piemonte. Caccia cinghiali

Dal momento che è altamente probabile che si dilatino le tempistiche e le problematiche per la gestione del focolaio, ad integrazione della prima presa di posizione pubblica dell’Associazione, il Circolo ritiene utile ri-proporre alcune criticità.

Le elenchiamo di seguito in estrema sintesi e non in ordine d’importanza.

·        Sulla base delle precedenti casistiche in vari Paesi Ue di focolai di PSA, con esito positivo in alcuni casi, sono state definite linee guida, con l’elencazione di specifiche e articolate disposizioni. Ma le caratteristiche geografiche e orografiche del focolaio italiano sono di tale peculiarità da imporre da subito un’apposita riflessione e ri-valutazione di quali misure adottare per provare davvero a bloccare il diffondersi dell’infezione, con una ri-considerazione costante e specifica di scelte e opportunità rispetto e costi e benefici. Non considerare le peculiarità dell’area interessata rischia di inficiare ogni risultato.

·        Nell’augurabile caso di confinamento del focolaio nell’area circoscritta dalle autostrade, risultano evidenti:

1)    la notevole dimensione territoriale ampiamente antropizzata;

2)    l’estensione per molti km delle infrastrutture autostradali, con recinzioni non sempre ben mantenute e soprattutto con vasti tratti, nei percorsi montani, in galleria e su viadotti, senza alcun ostacolo al passaggio di animali;

3)    le frequenti intersecazioni (assai diversamente dal Belgio per esempio) con sovrappassi e sottopassi veicolari e con molteplici corsi d’acqua. È possibile si realizzino urgentemente le assai complesse e impegnative nuove barriere e la manutenzione di quelle pre-esistenti? In che tempi, a carico di chi?

·        Sempre se lo scenario positivo del focolaio infra-autostradale si confermasse, il divieto di attività outdoor non potrebbe avere tempistica inferiore a quantomeno 18 mesi. Se è questa la probabile prospettiva sono più che auspicabili da ora limitazioni graduate e tali da attenuare i molteplici impatti economico sociali negativi su popolazione e attività economiche delle aree interne.

Considerazioni sulla gestione del cinghiale

Premesso che, come sostiene l’ISPRA, la comparsa del virus è totalmente indipendente dalle densità di cinghiale, e preso atto che la popolazione di cinghiali nella zona risulta enormemente più alta di quella registrata in altre aree all’estero dove sono state messe in atto misure di contenimento dell’epidemia, occorre constatare che la tradizionale attività venatoria si è in buona parte trasformata in attività, sovente con finalità anche economiche, di moltiplicazione, foraggiamento e allevamento brado, senza alcun vero e sostanziale indirizzo di gestione pubblica, a totale e completo discapito delle priorità di ricostruzione e mantenimento degli equilibri ambientali.

È ormai noto che la proliferazione del cinghiale è dovuta oltre che all’abbandono delle zone interne, anche, se non soprattutto, alle immissioni che furono fatte in passato, rispondendo a precise richieste del mondo venatorio. Ancora nel 2010, secondo una pubblicazione scientifica ISPRA-Ministero Ambiente (1) “diverse Amministrazioni provinciali, soprattutto nella parte meridionale del Paese, acquistano cinghiali per il ripopolamento o autorizzano altri Enti gestori (ATC Ambiti territoriali di caccia, Aziende faunistico venatorie, ecc.) a rilasciare regolarmente in natura animali prodotti in allevamenti”. Secondo altre fonti si preferirono inizialmente ceppi di provenienza centro-europea piuttosto che quelli autoctoni del nostro paese, in quanto più grandi e prolifici. Ma anche più voraci e quindi in grado di arrecare maggiori danni alle attività agricole. L’attività venatoria nei confronti del cinghiale è poi stata sempre gestita non in modo da ridurre la presenza degli animali sul territorio, ma per ottenere tantissimi esemplari col fine ultimo di aumentare la probabilità di incontro tra animale e cacciatore (2).

Più recentemente, quando il rischio epidemia per l’Italia non appariva ancora immediato, in un documento dell’aprile 2021, dal titolo “Gestione del Cinghiale e peste suina africana” (3) l’ISPRA scriveva: “Risulta indispensabile, inoltre, l’abbandono definitivo della pratica dell’immissione di cinghiali in ambiente non confinato che, sebbene vietata ai sensi della L. 221/15, sembrerebbe ancora praticata in alcuni contesti.” E ancora “Il foraggiamento di sostegno (il dare cibo ai cinghiali n.d.r.), realizzato al fine di vincolare gli animali ad un dato territorio, provoca un concentramento degli animali e, in tal modo, aumenta la probabilità di trasmissione del virus, per esempio a seguito dei contatti fisici o delle interazioni tra animali.” Tra le azioni previste per il contenimento dei cinghiali vi è quindi il “Contrasto delle pratiche illecite del foraggiamento “di sostegno” e dell’immissione di cinghiali in ambienti non confinati attraverso una capillare azione di verifica e sanzionamento su tutto il territorio nazionale.” (3) Operazione quest’ultima non certo facile, anche considerando il numero delle Guardie venatorie in costante diminuzione.

Si può inoltre osservare che l’emanazione della legge 221, che vieta il foraggiamento e l’immissione (ma li consente nelle aziende faunistico-venatorie e nelle aziende agri-turistico-venatorie recintate), non si può certo considerare tempestiva: avviene il 28 dicembre 2015, molti anni dopo il manifestarsi delle problematiche; in un articolo de La Stampa - Cronaca di Torino - del 1999 (4) rappresentanti delle Organizzazioni agricole lamentavano l’immissione nottetempo di femmine di cinghiale gravide nei boschi.

(1) ISPRA Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale - Quaderno 34 Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, 2010  pag.7.  https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/quaderni/conservazione-della-natura/linee-guida-per-la-gestione-del-cinghiale-sus-1     

(2) https://www.focus.it/ambiente/animali/cosa-succede-cinghiali-peste-suina-africana  31 gennaio 2022

(3) GESTIONE DEL CINGHIALE E PESTE SUINA AFRICANA - ELEMENTI ESSENZIALI PER LA REDAZIONE DI UN PIANO DI GESTIONE, 26 aprile 2021 - Documento redatto dal Ministero della Salute di concerto con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, il Ministero della Transizione Ecologica e con il supporto tecnico di ISPRA e CEREP, pag. 3 e 8. https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_generico_208_1_linkfile.pdf

(4) Cinghiali, allarme in Piemonte “Ce li troveremo anche in città” La Stampa, Cronaca di Torino, 13 novembre 1999, pag. 32

 

lunedì 14 febbraio 2022

 


            Allarme peste suina africana in Liguria e Piemonte.

Nella zona infetta 78 comuni piemontesi e 36 liguri

 

Legambiente: “Oltre alle misure sanitarie finalizzate al contenimento dell'epidemia, si affianchino adeguati indennizzi in via emergenziale e iniziative strutturali di rilancio anche per il mondo dell'outdoor.

 

 Al ministro della salute Roberto Speranza chiediamo di vietare per i prossimi 36 mesi in tutte le Regioni

la caccia al cinghiale nelle forme collettive”

 

 

A inizio gennaio è stata confermata dalle Istituzioni sanitarie competenti la presenza della peste suina africana (PSA) in Piemonte e Liguria, individuando la “zona infetta” in un’area che ricomprende 78 Comuni piemontesi e 36 Comuni liguri. Ad oggi, sono 14 le carcasse di cinghiali risultate infette in Piemonte e 15 in Liguria, la prima carcassa è stata trovata nelle campagne di Ovada, in provincia di Alessandria. A seguito del ritrovamento delle carcasse di cinghiali infette, nelle aree coinvolte di Liguria e Piemonte sono scattate le misure di controllo della malattia attraverso una ordinanza del Ministero della salute e le conseguenti ordinanze emanate dalle Regioni Piemonte e Liguria, individuando la “zona di sorveglianza” e la “zona infetta”.   

Per Legambiente se da una parte le misure intraprese dal Ministero della salute e dalle Regioni interessate, così come previsto dalla normativa internazionale, europea e nazionale di riferimento, sono indispensabili per il contenimento della malattia e per frenare il più possibile l’espansione della PSA in altre aree del Paese; dall’altra parte è importante e necessario adottare anche degli altri interventi a partire da adeguati indennizzi in via emergenziale e iniziative strutturali di rilancio rivolti a tutte le attività economiche e professionali che vi operano, comprese quelle relative alle attività outdoor. Oltre a ciò l’associazione ambientalista, con un appello diretto al ministro della Salute Roberto Speranza, chiede che venga emessa un’ordinanza che preveda il divieto per i prossimi 36 mesi della caccia nelle forme collettive al cinghiale (braccata, battuta e girata). Risulta, infatti, di tutta evidenza il fatto che l’attività venatoria aumenti molto la mobilità e gli spostamenti dei cinghiali, producendo l’aumento delle probabilità di diffusione della PSA. Per questo alla luce di questa riflessione, sulla base delle evidenze scientifiche e del principio di precauzione e ai fini della tutela dei prevalenti interessi economici, è stata avanzata questa richiesta.

 

Le conseguenze, anche economiche, innescate dalla peste suina africana sulla filiera suinicola e sulle attività economiche delle aree interessate sottoposte a restrizioni sono pesantissime. Per questo - dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – è quanto mai urgente approvare un decreto che preveda per tutti i Comuni della “zona infetta” articolati ed adeguati indennizzi in via emergenziale, oltre a iniziative strutturali di rilancio, rivolti a tutte le attività economiche e professionali che vi operano, comprese quelle relative alle attività outdoor, e per le quali le stringenti misure impongono, dopo la pandemia da Covid-19, un ulteriore e prolungato blocco. La gravità della vicenda della peste suina africana rende inoltre palese che la gestione della fauna selvatica in Italia non può e non deve essere più “abbandonata”, come è stato negli ultimi trent’anni, nelle mani di soggetti privati, ma deve direttamente ed esclusivamente essere condotta da Enti pubblici, al fine precipuo di garantire efficacia ed efficienza a tutti gli obiettivi d’interesse collettivo, in primis l’equilibrio ecologico e sanitario”.

 L’associazione ambientalista evidenzia, inoltre, l’urgenza che il Governo adotti il “Piano nazionale di controllo della specie cinghiale” che punti ad una significativa riduzione delle densità delle popolazioni, facendo uso esclusivamente di strumenti selettivi. Ultimo aspetto riguarda il fatto che l’attuale filiera suinicola, basata prevalentemente sull’allevamento intensivo e fonte di forti impatti sanitari, ambientali e sociali, rischia di aggravare ulteriormente l’attuale scenario. Per tale ragione, è fondamentare continuare a lavorare senza sosta al fine di garantire un modello di allevamento che riduca fortemente gli input negativi, orientato al rispetto del benessere animale, alla riduzione delle emissioni e alla qualità della carne destinata ai consumatori.”

 

A pagare maggiormente le conseguenze dell’epidemia rischiano di essere gli allevamenti semibradi e biologici di maiali - hanno aggiunto i presidenti dell’associazione del cigno verde di Piemonte e Liguria, Giorgio Prino e Santo Grammatico - che privilegiano e conservano razze autoctone e rappresentano realtà e modelli di allevamento virtuosi. A tale riguardo, Legambiente lancia un monito alle istituzioni, chiedendo che tali allevamenti vengano sostenuti non solo in via emergenziale ma in maniera strutturale, attraverso un “Piano strategico nazionale per il supporto e il rafforzamento dell’allevamento suinicolo semibrado e biologico”, rappresentando un modello basato su buone pratiche in ambito zootecnico, attente al benessere animale, alla riduzione dei carichi emissivi e con un rapporto privilegiato con il territorio”.

 

Un altro aspetto importante che la PSA fa emergere è legato alle attività outdoor. “Pur nella consapevolezza che la scelta del loro blocco sia obbligata in questa fase per cercare di evitare la diffusione e l’espansione del virus –  continuano presidenti dell’associazione del cigno verde di Piemonte e Liguria, Giorgio Prino e Santo Grammatico  - è noto che questo provvedimento segue e moltiplica gli effetti negativi degli obblighi e delle limitazioni determinate dal precedente lockdown causato dal Covid-19, rappresentando un durissimo colpo a turismo sostenibile, mobilità dolce e attività all’aria aperta che per molte delle aree interne coinvolte, già fortemente penalizzate e soggette al fenomeno dell’abbandono, sono elementi centrali dal punto di vista economico e sociale. In attesa dei riscontri che seguiranno il monitoraggio dell’attuale scenario dal punto di vista sanitario – hanno proseguito -, chiediamo che per tutti i Comuni della “zona infetta” siano riconosciuti indennizzi rivolti ai soggetti colpiti direttamente e indirettamente (operatori del settore, attività economiche, guide ambientali e turistiche, società sportive) dai provvedimenti adottati. In particolare, chiediamo al Ministero del turismo di provvedere con la massima urgenza allo stanziamento di un fondo specifico, in accordo con le Regioni interessate, per sostenere con urgenza le attività economiche outdoor gravemente danneggiate dai provvedimenti intrapresi, anche elaborando e adottando un “Piano strategico per le attività outdoor”, utilizzando i fondi del PNRR, per dare vita a una programmazione e pianificazione delle attività, delle opere e delle infrastrutture, materiali e immateriali, necessarie al rafforzamento delle attività outdoor nei Comuni della “zona infetta” al termine dell’emergenza sanitaria determinata dalla PSA. Auspichiamo che l’adozione delle stringenti e necessarie misure sanitarie  Nazionali e Regionali, forti del senso di responsabilità e la collaborazione dei cittadini e delle categorie  direttamente coinvolte, a valle   dei puntuali monitoraggi effettuati  e dei dati   raccolti per aggiornare l’evoluzione della pandemia , possano portare, al più presto, ad un miglioramento della situazione sanitaria e ad superamento dei limiti attualmente previsti rispetto alle  categorie economiche particolarmente colpite dai provvedimenti in corso ”.

L’ufficio stampa di Legambiente

Lunedì 7 febbraio 2022