ALLE ORIGINI DI VOLTAGGIO: CENNI PRELIMINARI
a cura di Ennio Cirnigliaro
Già nel toponimo, rimandante alla presenza di edifici legati alla sosta di muli e carriaggi, le cosidette “ volte”, Voltaggio ( Vultabium, come appare sui documenti medievali a partire dalla prima attestazione nel 1007[1]) ci racconta la storia di un centro che si sviluppa lungo l'itinerario di fondovalle del Lemme, nel punto in cui un diverticolo del percorso di crinale, antico tratto della Via Postumia romana, il quale dal pianoro di Reste, muoveva verso Fraconalto, per scendere su Rirgoroso ed Arquata e proseguire in direzione di Libarna, incrociava l'itinerario di valico in direzione delle Capanne di Marcarolo ( la cosiddetta “ via di Marcarolo”), un percorso che nel medioevo permetteva di muovere dal porto di Genova all' Astigiano, e da lì verso i valichi alpini, in direzione della Francia del nord, sede di importantissime fiere frequentatissime dai mercanti italiani.
In realtà la storia degli itinerari verso l'ovest alessandrino e l'astigiano è ben più antica, come mostrano le tracce di frequentazione addirittura etrusca connesse all'emporio di Villa del Foro, oltre che alcune testimonianze di fondamentale importanza quali le steie etrusche di Mombasiglio di Busca ( CN), lacerti di un puzzle che narrano storie di intraprendenti mercanti tirrenici carichi di merci mediterranee e interessati a quell'estremo nordovest italico, costituente contemporaneamente uno sbocco per le merci stesse, un territorio ricco di metalli da sfruttare e, soprattutto, un trampolino verso i potenti centri celtici d'Oltralpe, coi loro consumatori di vini e merci preziose, e dunque con le tantissime occasioni di buoni affari.
In questo senso, possiamo ipotizzare che la prima ipotetica presenza insediativa a Voltaggio non fosse orientata in direzione sud- nord, come avviene nel medioevo, bensì est- ovest, costituendo il guado sul Lemme il punto centrale di intersezione fra la Via Postumia ad est e l'itinerario di valico verso l'ovest alessandrino e l' Astigiano ad ovest.
E' dunque con il medioevo centrale, e con il nuovo interesse genovese nei confronti dell' Oltregiogo, in primis del sito di Gavi, altro punto strategico più a valle di collegamento con diversi itinerari viari, che la morfologia dell'insediamento inizia a prendere la forma tutt'oggi conservata, entro il consueto quadro della costruzione dei cosiddetti “borghi nuovi” da parte di poteri centrali i quali insediano nuovi abitanti, concedendo loro ampie regalie, ed elaborando centri abitati secondo uno schema tipico: a monte, come al vertice di un triangolo isoscele, il castello ( la cui prima menzione appare in un'epigrafe del 1161 conservata a palazzo Scorza) dal quale si diparte la cinta muraria entro la quale si sviluppa un agglomerato costituito da edifici posti perpendicolarmente alla strada principale che attraversa l'intero abitato. Stando così le cose, una serie di vicoli, paralleli agli edifici e perpendicolari alla strada principale, contribuisce infine a dare al borgo nuovo la caratteristica forma di “lisca di pesce” che si ritrova anche nei viciniori abitati della Valle Scrivia.
Per tornare agli eventi storici accertati, Voltaggio e il suo comprensorio entrano nell'orbita genovese a partire dal 1121 quando, nell'ambito della loro “Strafexpedition” in Oltregiogo, i liguri conquistano combattendo, “ proeliando”, dice icasticamente Caffaro[2], Fiaccone, Chiappa, Mundasco e Pietrabissara. Contrariamente a quanto avviene sul crinale e in Valle Scrivia, Voltaggio non dovette, invece subire scontri armati, giacché, come dice il Nostro, in questo caso i genovesi acquistarono il castrum ( termine che indica il castello ma anche l'insediamento fortificato ed il comprensorio ad esso afferente) di Voltaggio e le sue 400 libbre di entrate direttamente da Alberto, Marchese di Gavi. Stando così le cose, se il tutto si svolse in un solo momento, possiamo ipotizzare che una parte dei genovesi, staccandosi dal grosso delle truppe all'altezza di Fiaccone, sia discesa in Val Lemme per contrattare con un Marchese di Gavi forse atterrito dalla forza del nemico e deciso a scendere a più miti consigli ,“ riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta”.
Tornando al borgo nuovo, dobbiamo dunque pensare che l'iniziativa di costruzione dell'insieme, in analogia con quanto avviene, ad esempio, a Chiavari, sia da attribuire propriamente alla Dominante, la quale governava in loco per mano dei castellani e dei podestà, nonché dei consoli, questi ultimi emanazione delle classi dirigenti locali, ai quali era demandata la disbriga dell'ordinaria amministrazione. In quei secoli, all' “autunno del medioevo”, dobbiamo immaginare una Voltaggio in piena attività, con cantieri ovunque ed attraversata da muli e persone che, muovendo da Genova, si recavano nelle lontane fiere della Champagne o nei mercati padani, mentre in direzione opposta stuoli di mercanti di ritorno dal Settentrione portavano con sé le merci acquistate oltralpe, in un continuo viavai che solo difficilmente oggi, in un tempo in cui il tranquillo borgo ospita al più dei villeggianti o dei turisti occasionali, possiamo immaginare.
L'insediamento, che dovette attraversare indenne i secoli XV e XVI tanto da conoscere addirittura una sua estensione a monte, in contemporanea con l'apertura della strada carrozzabile della Bocchetta nel 1585, subirà un terribile incendio nel 1625 per opera delle armate francesi, alleate di Carlo Emanuele di Savoia. Tragedia nella tragedia, brucerà col villaggio anche l'archivio parrocchiale. Voltaggio, tuttavia, data la sua importanza in quanto fondamentale punto di passaggio, verrà ricostruita integralmente, pur all'interno della vecchia maglia insediativa, sino a raggiungere l'attuale aspetto del tipico borgo ligure, seppure oggi in terra piemontese.
Principali emergenze architettoniche e cronologia delle stesse
1) Castello (ante 1121, citato da Caffaro con prova epigrafica del 1161).
2) Ponte con piloni in opera quadrata antelamica detto “dei Paganini”( XII- XIII secolo.)
3) Chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta e dei SS. Nazario e Celso (1202, seppure con dubbia citazione nel 1175)
4) Cappella di S. Biagio o della “ Commenda della religione di Malta”, in sponda destra del Lemme lungo il percorso dal Ponte Paganini verso Fiaccone ( XIV secolo), attualmente demolita dopo esser stata trasformata in fiienile nel XIX secolo ma citata in una carta del 1773).
5) Convento di S. Francesco (XV secolo)
6) Palazzo Scorza ( XVI secolo)
7) Oratorio di S. Sebastiano ( XVI secolo con ristrutturazioni nei due secoli successivi)
8) Palazzo De Ferrari Galliera ( fine XVI secolo)
9) Oratorio di S. Antonio Abate ( 1582)
10) Convento di S. Michele Arcangelo di frati Cappuccini (1602)
11) Chiesa di S. Maria del Gonfalone, legata a Palazzo De Ferrari (inizi XVII secolo).
12) Albergo dell'Aquila – Villa Morgavi ( 1647)
[1] Nel febbraio 1007 Giovanni, Vescovo di Genova, costituisce la chiesa di S. Siro in monastero benedettino, nominando l'abate, Pietro, e concedendo al monastero stesso diverse decime e beni nel Genovesato e nel Basso Piemonte ( “Le carte del Monastero di San Siro di Genova, Vol.1”, a cura di M. Calleri. Genova 1997. N. 15, pp. 24- 27)
[2] Caffaro, Annales Ianuenses, 1120- 1122, p. 17 . “Secundo uero anno prefati consulatus Opizonis Mussi et sotiorum eius, Ianuenses cum magno exer[2]citu militum ac peditum Iugum transierunt, Flaconemque et Cla[2]pinum ac Mundascum et Petram Becariam preliando ceperunt , et castrum Vultabii cum introitu eius per libras quadringentas emerunt ab Alberto marcinone de Gaui, anni Do[2]mini • m • c • xxi”
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