martedì 31 gennaio 2017

ECCO I PESTICIDI CHE TROVIAMO NEL NOSTRO PIATTO

Stop pesticidi 2017
Ancora significativo l'uso dei prodotti chimici in agricoltura nonostante le alternative sostenibili. Legambiente presenta il dossier sulla contaminazione da pesticidi negli alimenti 
Per garantire elevati standard di produzioni e al contempo per difendere le colture da attacchi di parassiti, funghi e insetti, buona parte del mondo agricolo ancora oggi ricorre ad un largo impiego di pesticidi, nonostante soluzioni alternative e più sostenibili siano da tempo offerte da buone pratiche agronomiche che mettono al centro del processo produttivo il ripristino del suolo, la valorizzazione della biodiversità e del territorio, coniugando qualità ambientale con quella di prodotto.  
Per fare qualche esempio concreto di cosa può arrivare sulle nostre tavole: del  tè verde, per esempio. Fa bene alla salute a meno che non risulti contaminato da un mix di ben 21 differenti sostanze chimiche. Anche le bacche vanno molto di moda nelle diete attuali, peccato che alcuni campioni analizzati dall’attento laboratorio della Lombardia contenessero fino a 20 molecole chimiche differenti. Residui chimici in quantità sono stati rinvenuti anche nell’uva da tavola e da vino, tutta di provenienza nazionale, contaminata anche da 7, 8 o 9 sostanze contemporaneamente. Sebbene i prodotti fuorilegge (cioè con almeno un residuo chimico che supera i limiti di legge) siano solo una piccola percentuale (l’1,2% nel 2015, era lo 0,7% nel 2014), tra verdura, frutta e prodotti trasformati, la contaminazione da uno o più residui di pesticidi riguarda un terzo dei prodotti analizzati (36,4%).
Con il dossier Stop pesticidi, Legambiente raccoglie ed elabora i risultati delle analisi sulla contaminazione da fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli e trasformati, realizzati dalle Agenzie per la Protezione Ambientale, Istituti Zooprofilattici Sperimentali e ASL. Comunicato stampa 
Stop pesticidi scarica il dossier 
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Pubblicato il 30 gennaio 2017

lunedì 30 gennaio 2017

MAL'ARIA 2017 - SMOG E PM10..E INERZIA DELLA CLASSE POLITICA




 

Bologna, 30 gennaio 2017                      Comunicato stampa

Flash mob di Legambiente al vertice sullo smog a Bologna

Smog, Legambiente: “Tempo scaduto: la Regione Piemonte approvi in tempi certi il Piano antismog”

I dati del dossier Mal’aria 2017: a gennaio Torino e i principali capoluoghi piemontesi hanno già consumato gran parte del bonus dei 35 giorni previsti per le PM10




Le polveri sottili invadono sempre più le città. Anche il 2017 si è aperto nella morsa dello smog: nei primi 25 giorni di gennaio sono ben 9 le città italiane che hanno registrato oltre 15 giorni di superamento del limite giornaliero previsto per il PM10. Cremona (centralina Fatebenefratelli) con 20 giornate (il 60% di quelle consentite per tutto il 2017), Torino (Rebaudengo) con 19 e Frosinone (Scalo) con 18 giornate, sono le tre situazioni peggiori, seguite da Treviso, Padova, Vicenza e Reggio Emilia con 15 giorni di sforamento (il 40% del totale). Dati che non promettono nulla di buono, e che fanno seguito ad un 2016 davvero nero per l’aria italiana: lo scorso anno ben 33 città italiane sono risultate fuorilegge con il livello di PM10 alle stelle, prima fra tutte: Torino (con 89 superamenti), seguita da Frosinone (85), Milano e Venezia (entrambi 73). A livello regionale, le regioni a cavallo della pianura padana sono quelle che hanno registrato le maggiori criticità. Numeri preoccupanti se si pensa anche ai rilevanti impatti sulla salute: ogni anno, stando alle ultime stime, l’inquinamento dell’aria causa oltre 467 mila solo in Europa e i costi sanitari associati quantificabili sono tra 400 e 900 miliardi di euro all’anno sempre in Europa.

A denunciarlo è Legambiente con il suo dossier Mal’aria 2017 – Come ridurre lo smog, cambiando le città in 10 mosse e la campagna annuale “PM10 ti tengo d'occhio” che monitora l'andamento giornaliero dei 96 capoluoghi di provincia di cui sono disponibili i dati tenendo in considerazione solo le centraline urbane di fondo e di traffico. Far uscire le città dalla cappa di smog è una priorità. Legambiente ne è convinta e sfida le amministrazioni disegnando le città di domani, utilizzando le migliori esperienze che già oggi sono una realtà: ecco dunque una metropoli innovativa e sostenibile, sempre più verde dove gli alberi tornano ad essere i protagonisti del centro e delle periferie “sposando” anche l’architettura per dar vita a palazzi che respirano. E poi reti ciclabili, mezzi pubblici e auto elettriche, ecoquartieri, edifici che tornano a nuova vita grazie a progetti rigenerazione urbana e riqualificazione energetica per Centri urbani sempre più smart, partecipativi e inclusivi. Una città che molte amministrazioni, spesso troppo miopi, faticano a vedere e sulle quali invece dovrebbero puntare. In questa partita è fondamentale il ruolo delle Regioni nel predisporre piani e misure e nuovi fondi da destinare a progetti innovativi, a partire dal settore della mobilità.

“Non si è ancora concluso il mese di gennaio e Torino e i principali capoluoghi piemontesi hanno già consumato gran parte del bonus dei 35 giorni di sforamento previsti per le PM10 per l’intero anno. Per questo oggi abbiamo deciso di presentarci a Bologna al vertice tra il ministro Galletti e le Regioni del Nord per sollecitare nuovamente tutti i livelli istituzionali a passare dalle parole ai fatti. Non è infatti più possibile, nel pieno dell’ennesima stagione dello smog, continuare a discutere di quali misure adottare e rinviare ancora una volta la loro applicazione -dichiara Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. Per l’occasione abbiamo ricordato all’assessore all’Ambiente della Regione Piemonte Valmaggia che sono ormai passati due anni dall’annuncio di revisione del Piano regionale anti-smog di cui si continua a non veder traccia. Chiediamo quindi alla Regione di prendere un impegno vincolante sui tempi di redazione e approvazione del Piano. E’ una questione di serietà istituzionale ma anche di rispetto per la salute dei cittadini quotidianamente esposti a livelli altissimi di smog”.

La città immaginata da Legambiente, spiegata nel dossier Mal’aria, si basa su 10 idee innovative e proposte anti-smog che l’associazione ambientalista ha presentato oggi a Bologna alle Regioni dell'area padana riunite con il ministro dell’Ambiente Galletti per un incontro governativo sulla qualità dell’aria e le azioni unitarie da adottare nel bacino padano. Poco prima del tavolo tecnico, Legambiente, davanti al palazzo della Regione Emilia Romagna, ha organizzato anche un flash mob con i presidenti regionali di Legambiente Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, per ricordare la grave emergenza smog che soffoca ormai le città italiane con lo slogan “Ci siamo rotti i polmoni”. Per l’associazione ambientalista non si può più perdere tempo ed è urgente definire politiche e metterle in pratica, mettendo a sistema quanto già è stato fatto di positivo.

Città libere dallo smog - Si parte col ridisegnare strade, piazze e spazi pubblici e la creazione di zone 30, in cui imporre il limite di velocità massimo di 30 km/h. Centri urbani completamente sicuri e rinnovati, in grado di tornare a respirare anche grazie alla creazione di nuovi spazi verdi e alla piantumazione di nuovi alberi in città, nelle vie del centro e delle periferie, ma anche sugli edifici e sui tetti perché le alberate svolgono un’altra funzione importante: riparano gli edifici dal calore e dal freddo con un risparmio stimato del 10% dell'energia necessaria per regolare la temperatura di un edificio e quindi di emissioni. (Fonte Trees for cities). Un successo quello dei boschi urbani dimostrato anche dai tanti progetti di architettura che stanno prendendo piedi, tra questi anche quello del bosco sociale di Ferrara.
La città del futuro si basa anche su una rete ciclabile che attraversa nelle diverse direttrici i centri urbani e sul potenziamento del trasporto pubblico (1000 treni pendolari, metropolitane, tram e 10 mila bus elettrici o a bio-metano) con strade dedicate e corsie preferenziali. Un intervento a basso costo per le amministrazioni comunali e velocemente realizzabile. Spostarsi in bici, o semplicemente camminare, nella città di domani sarà più semplice, piacevole e sicuro. Sempre in tema di spostamenti, Legambiente mette al centro del restyling urbano anche una mobilità a emissioni (quasi) zero ricorrendo alla trazione elettrica e-bike, moto, auto e bus. La mobilità di prossimità, la micromobilità (ciclabile ed elettrica) deve connettere tutti alle stazioni e alle fermate dei mezzi pubblici. Per far questo lo Stato deve cessare tutte le agevolazioni e gli incentivi (vedi autotrasporto) alle vecchie tecnologie “fossili” e concentrare politiche, incentivi e agevolazioni esclusivamente sulle tecnologie a zero emissioni.

Nella città del futuro disegnata da Legambiente ci saranno poi sempre meno veicoli inquinanti, a partire da quelli diesel. Per arrivare a ciò, è fondamentale fissare standard ambientali sempre più alti per l’utilizzo dei veicoli privati circolanti nelle città, crescenti negli anni, con limiti nei periodi di picco in modo da avere un quadro chiaro delle prestazioni che si vogliono raggiungere nel parco circolante e stimolare l’innovazione e gli investimenti delle imprese. Limitazioni analoghe devono essere previste anche per i veicoli e i macchinari utilizzati nei cantieri all'interno delle aree urbane e ai veicoli commerciali destinati al trasporto e alla movimentazione delle merci in città. In questo periodo di transizione, per limitare l'ingresso nei centri abitati di veicoli inquinanti e per favorire la mobilità dolce e l'uso di veicoli più efficienti e a zero emissioni, per Legambiente è fondamentale istituire zone a pedaggio urbano (sul modello dell’AreaC milanese) e implementare una differente politica tariffaria sulla sosta. I ricavi ottenuti devono essere interamente vincolati all’efficientamento del trasporto pubblico locale e di forme sostenibili di mobilità.

Infine per ridurre l’inquinamento in città, è anche importante riscaldare senza inquinare. Vietando l’uso di combustibili fossili, con esclusione del metano, nel riscaldamento degli edifici e incentivare, a partire dalle aree urbane, l'utilizzo delle moderne tecnologie che migliorano l'efficienza e riducono le emissioni, come le pompe di calore che già oggi sono una alternativa. Facendo rispettare l'obbligo di applicazione della contabilizzazione di calore nei condomini per ridurre i consumi da subito e attenzione coloro i quali non l'anno fatto (compresa l'edilizia pubblica) e attuando in modo sistematico i controlli sulle caldaie (come previsto dalla legge) e sulle emissioni prevedendo un sistema sanzionatorio efficace.


Il dossier di Legambiente “Mal’Aria di città 2017, come ridurre lo smog cambiando le città in 10 mosse” su: https://www.legambiente.it/contenuti/dossier/malaria-2017
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Ufficio stampa Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta: 011.2215851 – 349.2572806
www.legambientepiemonte.it – www.facebook.com/legambientepiemontevalledaosta

NIHIL SUB SOLE NOVUM

http://www.treccani.it/vocabolario/nihil-sub-sole-novum/

Sembra la trama di un film  già visto.
Cambia solo il nome dell'Opera e la localizzazione geografica: per il resto tutto si ripete come sempre in questo Paese e come già visto anche nelle nostre valli. 
Corruzione e collusione costellano la storia di tanti cantieri: per ottenere permessi e/o per spianare la strada e far realizzare opere insensate, da realizzarsi a tutti i costi perché ormai tutti coloro che ne decidono il futuro sono legati da ricatti e da obblighi gli uni verso gli altri.

Quando la verità sul terzo Valico verrà a galla, non ci servirà da consolazione poter dire "l'avevamo detto".
Già ora i sostenitori del Terzo Valico sanno che abbiamo ragione noi, ma per decisione dell'intera lobby che lo caldeggia con tutti i mezzi possibili, i cantieri non si fermano neppure davanti all'enorme rischio che stanno correndo la popolazione e i lavoratori.

#Fuoridaltunnel 


Hotel Rigopiano: “Posti di lavoro per un sì”. Così l’hotel si è allargato

ACQUISITI GLI ATTI DEL PROCESSO SULL’AMPLIAMENTO DEL RIGOPIANO: TUTTI ASSOLTI
hotel-rigopiano-867672(di Sandra Amurri – Il Fatto Quotidiano) – Il fascicolo del processo per corruzione contro l’allora sindaco di Farindola, Giancaterino, l’assessore De Vico, i consiglieri Marzola, Colangeli, Fusaro e i cugini Del Rosso, proprietari dell’hotel Rigopiano, istruito dal pm Gennaro Varone nel 2008, conclusosi il 7 dicembre scorso con l’assoluzione, è stato acquisito dalla Procura di Pescara che indaga contro ignoti per omicidio plurimo colposo e disastro colposo per i 29 morti provocati dalla slavina del 18 gennaio.
Nella memoria, depositata all’udienza dell’11 ottobre scorso, il pm Varone chiede ai giudici di “riconoscere che il reato di corruzione era stato commesso” e di dichiararlo prescritto perché tale era.
Ma i giudici assolvono “perché il fatto non sussiste”. I cugini Del Rosso, scrive il pm, “intenzionati ad ampliare la loro attività” per farne “un centro benessere, hanno la necessità di ottenere l’uso di terreno, sino a quel momento destinato al pascolo”.
Il terreno è nel Parco Nazionale del Gran Sasso, in un’area ove gravano un’infinità di vincoli, da quello idrogeologico sino alla protezione per gli uccelli. Terreno che i giudici di Pescara, Villani e Marino, definiscono “piuttosto esiguo, 1700 metri quadri, tenuto conto della collocazione geografica, area di montagna totalmente disabitata e destinata a pascolo…”.
Dalle intercettazioni dei carabinieri di Penne, scrive il pm, “emerge la tenace attività dell’assessore Antonio De Vico volta a tessere, pazientemente, una tela di relazioni con i Del Rosso da una parte e con i consiglieri da cooptare per una votazione favorevole, dall’altra; in cambio di assunzioni di protetti e parenti dei consiglieri votanti e il vantaggio economico personale della restituzione di un asserito ‘debito di onore’” di 26.500 euro”.
De Vico, medico di base di Farindola, Udc poi Pd, fu arrestato per corruzione su richiesta del pm Varone per gli appalti della Comunità montana Vestina e poi assolto per prescrizione. “C’è da restare basiti – scrive il pm – nell’apprendere che il consigliere di maggioranza Talone pretenda l’assunzione della moglie, in cambio del suo voto favorevole”. “A loro (cugini Del Rosso, ndr) gli è stato dato pure il culo a livello di amministrazione, mo’ ogni richiesta deve essere esaudita” si sfoga Talone con De Vico.
Poi si dimette quando a sua moglie viene preferita la figlia di un altro consigliere. Le dimissioni innervosiscono De Vico che con l’allora sindaco Giancaterino, attuale vicecapo dei Vigili urbani di Fermo, sbotta: “Con tutto quello che gli è stato fatto, l’impegno nostro risale alle delibere per Montesilvano, in una famiglia due case popolari assegnate in maniera non corretta, gli ho procurato il posto alla Deco che vale per tre posti, gli ho fatto assumere il fratello alla Brioni Roma Style, che cazzo vogliamo fare di più?…”.
A Colangeli viene assunta la compagna e la figlia in una società dei Del Rosso. LEGGI TUTTO

sabato 21 gennaio 2017

SE CI FOSSE STATA L'ANALISI COSTI-BENEFICI....

Il flop dell’Alta velocità
di Pietro Raitano — 23 febbraio 2012
Prima di avviare la costruzione della Torino-Lione, si dovrebbero guardare i dati. E quelli relativi alla linea ad Alta Velocità già realizzata ci dicono che i passeggeri delle “Frecce” non giustificano la TavUna ricerca del Politecnico di Milano svela un “buco” di milioni di utenti. Anticipazione da Altreconomia di marzo 2012
Al secondo piano di un edificio del Politecnico di Milano, Paolo Beria e Raffaele Grimaldi hanno preparato una “bomba”. Ricercatori per il Dipartimento di architettura e pianificazione (diap.polimi.it), hanno confezionato l’ordigno nella prima metà del 2011, per lanciarlo a settembre. La bomba -tutta mediatica- di cui parliamo è una ricerca che riguarda l’Alta velocità in Italia. Si intitola “An early evaluation of italian high speed projects” e dimostra che, salvo (forse) la tratta Milano-Roma, finora la Tav italiana è costata di gran lunga troppo (32 miliardi di euro in 20 anni, vedi Ae 134) rispetto ai benefici che ha portato. E qualcosa di simile vale anche per le tratte future, Torino-Lione in testa.
“Si tratta di una ricerca indipendente, che abbiamo pubblicato sul trimestrale del laboratorio ‘Mobilità e Ambiente’ dell’Università di Napoli (www.tema.unina.it/index.php/tema/article/view/486). Abbiamo preso i pochissimi dati che le Fs hanno messo a disposizione, e da lì ci siamo mossi per analizzare la domanda delle ‘Frecce’ sulla rete. Non abbiamo considerato nel conto degli investimenti la tratta Firenze-Roma, che già esisteva prima del 1992”. Beria e Grimaldi, a dispetto della competenza e della professionalità con cui snocciolano i dati, sono molto giovani: 34 anni il primo, 28 il secondo.
“Abbiamo fatto una valutazione ex post delle linee realizzate, attraverso un’analisi ‘costi benefici’, e sulla base di questa abbiamo dato un giudizio sulle singole tratte dell’Alta velocità”.
La metodologia usata deriva dalla letteratura sull’argomento, che è consolidata. “Ciò ha permesso di svolgere l’analisi con pochi dati: i costi di investimento, i costi di esercizio e di manutenzione (attuali e senza queste strutture) e dall’altra parte i benefici in termini di risparmi di costi e risparmio di tempo per i passeggeri. Gli indicatori non li abbiamo scelti arbitrariamente: abbiamo utilizzato standard internazionali”.
Tradotto, la domanda che Beria e Grimaldi si sono fatti è stata: quanti passeggeri sono necessari per giustificare la spesa di realizzazione per ogni singola tratta di Alta Velocità? E la risposta è la bomba: “La Milano-Bologna è costata poco meno di 7 miliardi di euro, per un risparmio rispetto al 1999 di 37 minuti. A queste condizioni, secondo i nostri calcoli l’investimento è giustificato con  circa 9 milioni di passeggeri all’anno. Oggi siamo tra i 6 e i 7 milioni di passeggeri. Abbiamo l’impressione che questo tratto quindi sia giustificabile, tenendo conto di una crescita della domanda. Diverse le cose per le altre tratte. Ad esempio la Torino-Milano, costata 7,7 miliardi di euro per risparmiare 32 minuti, avrebbe bisogno di 14 milioni di passeggeri. Oggi sono al massimo un milione e mezzo, e Trenitalia ne stimava, nel 2007, 2,1 milioni. Qui il problema sono stati i costi sproporzionati, dovuti alla progettazione in affiancamento all’autostrada. Basta percorrerla per capire che si tratta di un progetto sovradimensionato. Senza contare i sovracosti dovuti ai meccanismi di affidamento esterno, di cui anche la stampa si è occupata”. La Bologna-Firenze merita un discorso a parte: “È la tratta che ha più domanda in assoluto, poiché si somma a quella che proviene da Milano e poi da Venezia. Nel 2010 ha avuto più di 10 milioni di passeggeri, ma anche in questo caso la domanda necessaria per coprire l’investimento era di 20 milioni. Per risparmiare soli 14 minuti”.
Infine, la Roma-Napoli (35 minuti di risparmio di tempo): “Oggi conta 3 milioni di passeggeri, l’obiettivo di Trenitalia, non raggiunto, è di 4,6 milioni. Ma ne servirebbero 8 milioni”.
Quindi c’è qualcosa che non va nell’intero progetto, o quantomeno nella valutazione che ne è stata fatta. “L’Alta Velocità italiana è una rete costruita su uno standard europeo -ovvero quello delle ferrovie francesi- che ha caratteristiche particolari. Utilizza corrente alternata: un treno normale non può andarci sopra. Ovvero, sulle linee Av sarebbe più costoso fare servizi di tipo Intercity, perché servirebbero per forza treni nuovi. Ciò significa che oggi alcune linee in particolare sono sottoutilizzate. Tra l’altro, il progetto iniziale prevedeva interconnessioni con la linea storica: sono state realizzate ma non rese operative. Ad esempio: sulla Milano-Bologna sarebbe utile uscire dalla rete e servire, ad esempio, Reggio Emilia e poi rientrare. Nella realtà questo non avviene, perché si è scelto di privilegiare la velocità. Forse gli emiliani non sono contenti di veder passare un ‘proiettile’ che ferma solo nei centri maggiori. In Germania e Svizzera ad esempio hanno reso solo alcune tratte ad alta velocità, e, soprattutto, adeguato alcuni nodi per avere migliori collegamenti in ottica di rete. I tedeschi distinguono tra Intercity e Intercity Express, ma non esiste un ‘prodotto’ che si chiama alta velocità”. Non solo. “All’estero si fa l’analisi costi benefici in via preventiva, e la scelta su quali opere fare -e come- si basa sulla comparazione tra le varie opzioni e i vari progetti. Da noi si è fatto il contrario: prima si progetta, poi si valuta quanto i benefici superano -se li superano- i costi. Si prenda il traffico merci: ad oggi nessun treno merci ha mai viaggiato sull’Alta velocità italiana, né mai accadrà. Non è conveniente. Tuttavia la rete è stata costruita anche per il trasporto merci. Il che l’ha resa più costosa, senza che vi fosse alcuna previsione che giustificasse neanche lontanamente l’investimento”.
La ricerca si occupa anche di linee progettate. “Ci siamo limitati a confrontare i pochi dati disponibili sulla domanda. L’impressione è che siano delle stime di crescita di passeggeri e merci davvero rilevanti, che appaiono piuttosto ottimistiche. La Torino-Lione, in particolare, nasce come linea per passeggeri, poi diventa anche merci perché si capisce che la domanda di passeggeri non c’è. È un dato presente anche negli studi ufficiali a favore della linea. Se si dovesse partire da zero, sarebbe una linea su cui proprio non investire, se non sul nodo di Torino e sulla tratta della valle col trasporto dei pendolari. Per come è andato il progetto e l’aspettativa che ha prodotto, una soluzione poteva essere di spezzare in fasi i lavori, iniziando dalla zona più problematica (ovvero la zona di Torino) e solo alla fine valutare la necessità di un tunnel in Val Susa. Che al momento non è dimostrata”. —
La Tav sotto Firenze
Tutti i passeggeri delle “Frecce”, anche quelli che mancano, sentono il bisogno di nuove stazioni “ad Alta velocità”. A Firenze, il progetto è firmato dall’archistar Norman Foster (vedi Ae 131), e si accompagna all’esigenza di realizzare un tunnel da 7 chilometri sotto la città, per saltare il collo di bottiglia di Santa Maria Novella, stazione di testa, e proseguire la corsa verso Roma risparmiando un quarto d’ora. Servono almeno 1,3 miliardi di euro, dalle 5 alle 8 volte in più rispetto al progetto alternativo, elaborato volontariamente da architetti, geologi, ingegneri e urbanisti del Comitato contro il sottoattraversamento Tav (www.notavfirenze.blogspot.com), oggi raccolto in un corposo volume pubblicato da Alinea editrice.
“Tav sotto Firenze” (368 pp., 28,50 euro) che racconta  impatti, problemi, disastri, affari ma dà soprattutto conto dell’alternativa possibile.

Audio Rai.TV - Fahrenheit - Fahrenheit - Stradario di uno spaesato - ore 16.00 del 20/01/2017

Audio Rai.TV - Fahrenheit - Fahrenheit - Stradario di uno spaesato - ore 16.00 del 20/01/2017



Le strade che separano....

venerdì 20 gennaio 2017

TERZO VALICO: LA REAZIONE DELL'OSSERVATORIO NAZIONALE AMIANTO ALLA FRASE DELL'EX MANAGER DI COCIV


Dal sito GenovaToday.it la reazione dell'Osservatorio nazionale sull'Amianto

Frase choc del manager Cociv su amianto e terzo valico, l’Ona al Governo: “Fermare subito i lavori”

di - 19 gennaio 2017 - 8:51

L’Osservatorio nazionale amianto (Ona) esprime “stupire e indignazione” per le parole dell’ex direttore generale del consorzio Cociv, Ettore Pagani, e chiede l’immediato blocco dei lavori del Terzo valico “per tutelare salute dei lavoratori e ambiente”.
In una intercettazione shock, Pagani sottovalutava la pericolosità della presenza di amianto nei cantieri dell’opera affermando “tanto la malattia arriva tra trent’anni”.
“Possiamo fermare in tempo l’ennesima tragedia annunciata bloccando immediatamente tutto – afferma il presidente dell’Ona,Ezio Bonanni -. Per questo mi rivolgo al Governo affinché emetta un provvedimento urgente che interrompa questi lavori incauti, salvaguardando la salute degli abitanti della zona. Non escludiamo un’azione giudiziaria nel caso in cui in riferimento a lavori svolti nel passato siano riscontrati ora dei casi di mesotelioma o di altre patologie asbesto correlate tra gli ex dipendenti. Chiediamo inoltre che i lavoratori adibiti alle lavorazioni con presenza di amianto entrino immediatamente in un protocollo di sorveglianza e tutela”.

Ricordiamo che nel 2012 l'ONA si era già pronunciato sulla pericolosità del Terzo Valico. Ripubblichiamo qui di seguito il parere che ci aveva inviato.

Nota al parere Ona: il limite geologico settentrionale tra Alpi ed Appennini è generalmente riconosciuto a ovest di Genova ed è costituito dal Gruppo di Voltri, presso una discontinuità tettonica denominata linea Sestri-Voltaggio.


OSSERVATORIO NAZIONALE SULL’ AMIANTO
Presidenza Nazionale
Via Crescenzio, n. 2, 00193 - Roma
tel. 06 68890174 - 335 8304686
E-mail: osservatorioamianto@gmail.com
Preg.ma Sig.ra Paola Lugaro
e p.c. Preg.mo Dott. Michele Rucco
OGGETTO: Parere legale richiesto con e-mail del 17.12.2012 al Dott. Michele Rucco.
Preg.ma Sig.ra Lugaro,
ho ricevuto dal Dott. Michele Rucco l’e-mail con la quale Lei richiedeva un nostro parere, rispetto al quale Le debbo far presente prima di tutto che l’amianto è stato sempre presente nelle rocce delle Alpi.
Infatti, già a pag. 2 dell’ultima pubblicazione di chi Le scrive, dal titolo “La storia dell’amianto nel mondo del lavoro” (O.N.A. Editore) testualmente:
l’actinolite o actinoto (dal greco ακτινωτο/=pietra raggiata) o amianto verde-nero; silicato idrato di calcio, ferro e magnesio, 2CaO,4MgO,FeO,8SiO2,H2O - n. CAS 77536-66-4; è un componente abbondante delle rocce scistose-cristalline della catena alpina; ed ha una temperatura di decomposizione tra 620-900°C.
la tremolite o amianto grigio-verde-giallo; silicato idrato di calcio e magnesio, 2CaO,5MgO,8SiO2,H2O - n. CAS 77536-68-6), comune in molte località alpine, prende il nome dalla Valle Tremola nel massiccio del S. Gottardo (Campolongo, nel Canton Ticino) 1; fragile, ma con più resistenza al calore, perché ha una temperatura di decomposizione tra 950-1040°C
l’antofillite
2 (dal greco ανθο=fiore e φυ/λλον=foglia, e dal latino scientifico antophyllum = garofano) o amianto verde-giallo-bianco; silicato idrato di magnesio, 7MgO,8SiO2,H2O- n. CAS 77536-67-5; è il più importante degli anfiboli rombici, è frequente nei micascisti dell’Alto Adige (Val Passiria, sopra Merano) e in misura inferiore anche nell’isola d’Elba e nelle Alpi e Prealpi Occidentali, e in Finlandia, è fragile, con temperatura di decomposizione tra 600-850°C”.
Ancora a pag. 82: “C. Anfosso, nel ‘Dizionario di igiene popolare’3, del 1899, ha definito l’amianto come “strana pietra che il tempo sfila in stami argentini, candidi, morbidi come una lanuggine ed in bioccoli come di bambagia! Sono pietre vecchie, a cui cresce la barba, dicono gli alpigiani per ischerzo ai bambini, e bene dicono senza saperlo”.
Quindi riteniamo di poter affermare, anche alla luce di ulteriori rilievi bibliografici, e di dati oggettivi inoppugnabili, che l’amianto sia presente anche nel sito al quale Lei fa riferimento, quantomeno a livello di contaminazione.
Quanto al rischio morbigeno anche a basse dosi di amianto.
Ammesso e non concesso che l’amianto sia presente solo in poche parti delle rocce, comunque ed in ogni caso ci sarebbe dispersione di fibre che contaminano l’ambiente e sono pericolose, e non a caso “nella relazione della Provincia di Alessandria, diventata parte integrante della delibera del Consiglio provinciale che nel 2005 ha approvato il progetto definitivo, è da segnalare quanto affermato a pagina 11: le analisi fatte dal General contractor Cociv dal 1992 al 2005 sono insufficienti a stabilire se c'è o non c'è l'amianto”.
Quindi ritengo di dover richiamare la Vostra vigile attenzione sul fatto che secondo l’OMS “l’esposizione a qualunque tipo di fibra e a qualunque grado di concentrazione in aria va pertanto evitata” e lo IARC ha precisato: At present, it is not possible to assess whether there is a level of exposure in humans below which an increased risk of cancer would not occur (Iarc Monographs On The Evaluation Of Carcinogenic Risks To Humans, Volume 14, Asbestos, Summary Of Data Reported And Evaluation, Asbestos, Last Updated: 26 March 1998) nel senso che non c’è soglia sotto la quale non c’è rischio.
Inoltre, sempre lo IARC precisa che tutti i tipi di amianto sono cancerogeni (IARC Monographs supplement 7, Asbestos (group 1), 106-116, 1987).
Soprattutto ci sono molti minerali asbesti formi, alcuni dei quali non catalogati come amianto dal legislatore, e che sono molto presenti nei massicci delle Alpi e Prealpi (sul punto allego il primo capitolo del mio libro “La storia dell’amianto nel mondo del lavoro” - O.N.A. Editore - con e-mail separata).
Sul rischio morbigeno occorre osservare:
A. Rischio morbigeno per esposizione ad amianto4.
A.1 Aspetti biomedico-ambientali: Effetto della reiterazione dell’esposizione alle concentrazioni definite dai limiti di legge 1 + 1 + 1 + 1 + 1 + 1 = 6 fibrille in una settimana: effetto di sommatoria.
L’amianto, detto anche asbesto, è un minerale costituito sostanzialmente da silicati di varia composizione chimica. Questa diversità condiziona sia la forma delle fibrille (strutture con una lunghezza tre volte maggiore del diametro), sia la loro denominazione, sia ancora la loro nocività per l’uomo e per animali sinantropici, come il cane. L’azione patogena, oltre ad una prima fase prodromica irritativo-flogistica sulle strutture dell’organismo di primo impatto, implica effetti cancerogeni a carico di diversi tipi cellulari, tessutali, e d’organo. L’azione cancerogena dell’amianto era già nota, per molti versi e ad opera della ricerca biomedica, quasi contemporaneamente alla sua introduzione come materia prima in parecchie tecnologie richieste dalla rivoluzione industriale che fu attuata a cavallo tra XIX e XX secolo. Successivamente sono intervenuti provvedimenti normativi allo scopo di prevenire l’esposizione a rischio e per proteggere la salute della collettività (lavoratori e popolazione generale). In molti paesi il minerale e’ stato bandito dal tardo XX secolo (anni 1980-1990). Parecchi altri paesi continuano ad estrarre il minerale naturale, a lavorarlo, e a venderlo. Oggigiorno, i limiti di legge prescritti sembrano dare sicurezza agli esposti, ed a chi controlla la loro salute, ma generalmente non si tiene conto che anche pochissime fibrille assunte quotidianamente, col tempo, si sommano nel nostro organismo, raggiugendo il carico (body burden dei ricercatori anglosassoni) di rottura del tiro-alla-fune tra cancerogeni e difese dell’organismo contro il cancro. A questo proposito, già fin d’ora, è utile rammentare il monito di René Truhaut, secondo cui non esistono limiti ammissibili per i cancerogeni, ciò significa: “rischio zero”.
A.2. Fibrille inalate od ingerite - Assorbimento attraverso la mucosa delle vie respiratorie o del tubo gastroenterico
Le fibrille di amianto possono raggiungere l’individuo esposto sia dalla cava del minerale, sia dalla materia prima, sia dal manufatto durante l’uso, sia dallo stesso manufatto dopo l’esaurimento della vita di impiego, quando è in disuso e in via di smaltimento. Vale a dire il rischio patogeno ci può essere “prima, durante, dopo” il suo uso. È ragionevole condividere l’aforisma di L. Mutti (Primario ASL 11 VC) “Dobbiamo giungere al rischio zero perché l’unica fibra di amianto innocua è quella che noi non respiriamo”. Ma non basta non inalare fibrille di amianto, perchè molte altre se ne possono ingerire, con le bevande e anche coi cibi5.
A.3. Recircolazione delle fibrille nel torrente sanguigno
Una volta inalate od ingerite, le fibrille raggiungono l’epitelio della mucosa dell’apparato respiratorio o dell’apparato gastroenterico, rispettivamente. Non è difficile, per gli intrusi killer, superare queste labili barriere per entrare nei capillari sottomucosi, poi nel sistema venulare, quindi in quello venoso centripeto, con l’interposizione o meno del piccolo circolo polmonare, caratterizzato dal fatto che il circolo venoso trasporta sangue ossigenato, al contrario del grande circolo. Infine il cuore provvede a redistribuire il tutto in tutto l’organismo.
A.4. Diffusione in tutti i tessuti ed organi - Localizzazione in qualunque tessuto.
A seguito di questa diffusione ubiquitaria, quasi biologicamente “ecumenica”, non c’è un tessuto, un organo, che possa ritenersi indenne di localizzazione delle fibrille killer. Dal momento in cui un tessuto bersaglio si trova ad ospitare una o piu’ fibrille esso innesca una sequela di eventi reattivi. Il tipo e l’entità di questi fenomeni sono condizionati dalla costituzione del tessuto stesso, o meglio di quella parte di esso in cui si sono annidate le fibrille. È comprensibile che tale funzione di risposta sia svolta dal tessuto connettivo che circonda il vaso di afferenza, oppure da quello che fa da impalcatura stromale di un organo parenchimale. Infatti le cellule attrici della risposta flogistica (infiammatoria) sono prevalentemente quelle connettivali. La reazione infiammatoria non è di tipo acuto, in quanto le fibrille di amianto, nel superare le barriere delle mucose interessate, si sono lasciate alle spalle i batteri eventualmente concomitanti, gli agenti flogogeni che avrebbero richamato i leucociti PMN (polimorfonucleati) per formare il secreto infiammatorio purulento. Quindi non si tratta di un foruncolo microscopico, bensì di un microgranuloma, classica espressione di una flogosi di tipo cronico, costituito da una corteccia di cellule linfocitarie (leucociti ematici mononucleati), cellule connettivali e da fibre connettivali, che tutte insieme inglobano la fibrilla d’amianto. Si è venuta così formando un’entità reattiva detta “corpuscolo dell’asbesto” nella quale il core è destinato a durare a lungo.
A.5. Reazione flogistica di tipo cronico nel punto di localizzazione, con formazione dei corpuscoli dell’asbesto (microgranulomi - Reperto autoptico di corpuscoli dell’asbesto in molti organi del corpo umano.
La letteratura scientifica riporta il ritrovamento, come reperto autoptico a seguito di autopsie di lavoratori esposti all’amianto nei seguenti tessuti: cervello, tiroide, polmone, fegato, pancreas, rene, cuore, milza, surrene, prostata. Questa distribuzione testimonia la diffusione delle fibrille di amianto in tutto il circolo sanguigno ed i tutti gli organi che esso irrora.
A.6. Cancerogenesi a carico delle membrane sierose: pleura, pericardio, peritoneo, tonaca vaginale del testicolo, coi rispettivi mesoteliomi.
Un altro aspetto peculiare che riguarda la localizzazione delle fibrille di amianto a distanza dal punto di ingresso nell’organismo (nel circolo sanguigno) trova conferma dalla localizzazione di una specifica e grave forma di neoplasia maligna di membrane sierose particolarmente suscettibili di tale tipo di cancerogenesi. Si tratta di mesoteliomi che colpiscono la pleura (sierosa che avvolge il polmone), il pericardio (che avviluppa il cuore), il peritoneo (sierosa che avvolge tutti i tratti del tubo gastroenterico, tenue e crasso) e la tonaca vaginale del testicolo, che e’ una derivazione embrionaria del peritoneo. Fin che si tratta della pleura, la sierosa più frequentemente colpita dal mesotelioma, si potrebbe considerare in modo ingannevole questa maggiore frequenza di morbilità come conseguenza della vicinanza della sierosa con la via piu’ comune di ingresso dell’amianto: le coane (narici). Al contrario, le fibrille killer aggrediscono i tessuti bersaglio raggiungendoli alle spalle, cioe’ attraverso il circolo. La lunghezza del tragitto da superare, chilometri di capillari, venule, arteriole, vene, arterie, interposta tra narici e/o bocca da un lato e sierosa colpita, dall’altro, non e’ certo una difficolta’ insormontabile. Infatti, dobbiamo considerare che il tempo di circolo si aggira normalmente attorno a pochi minuti secondi. Tra l’altro, la letteratura scientifica biomedica segnala casi clinici che si pongono fuori dai novero dei fenomeni morbosi piu’ frequentemente descritti come tipici all’amianto. Si tratta dei danni diretti sulla molecola del DNA nucleare dei leucociti circolanti di lavoratori esposti, e di mesotelioma primitivo dell’ovaio in lavoratrici esposte ad amianto, oltre a casi di carcinoma ovarico in operaie che, nelle loro mansioni, avevano usato talco contaminato con il minerale killer. Queste indagini riferiscono casistiche rare, generalmente imprevedibili, ma dimostrano in un modo ancora più completo la pericolosità ubiquitaria dell’amianto per la salute umana.
A.7. Rischio ambientale di esposizione: limite soglia = 0,1 fibra / ml d’aria (DM 6/9/94 ed artt. 24 e 31 del D.Lgs. 277/91).
Il nostro ordinamento giuridico include un provvedimemento legislativo che configura un limite soglia di concentrazione di fibrille d’amianto nell’aria in ambiente occupazionale, quale livello di riferimento quale prova di responsabilità, o meno. Tale limite è stato localizzato dal DM 6 settembre 1994, e dagli artt. 24 e 31 del D.Lgs. 277/91, in 100 fibrille per litro d’aria, anche con riferimento alle condizioni storiche - pregresse dell’ambiente di lavoro. E’ intuitivo come sia estremamente difficile, “contare” strumentalmente, e l’unica valutazione può essere quella presuntiva che si fonda sui parametri sanciti dal successivo D.M. 27.10.04, all’art. 3, e cioè dalla letteratura scientifica, dai casi analoghi, dagli studi epidemiologici etc..
A.8. Meccanismo della cancerogenesi.
Voytek et al. (1990) hanno riferito con chiarezza il meccanismo dell’azione canceragena delle fibrille di amianto. Secono questi autori, le fibrille del minerale localizzate nei diversi tessuti dell’organismo vanno incontro ad un’alterazione metabolica che porta alla formazione di amianto-epossido, la molecola che è il cancerogeno finale, responsabile della lesione della molecola del DNA. Tutto questo avviene quando la molecola bersaglio è il DNA dei nuclei dei leucociti circolanti, delle cellule parenchimali dell’ovaio, delle cellule delle sierose: pleurica, pericardica, peritoneale, o della tonaca vaginale del testicolo. Questo fenomeno di trasformazione di un pre-cancerogeno, l’amianto tal quale, in cancerogeno vero e proprio, l’amianto-epossido, è favorito dallo squilibrio della bilancia perossidativa dei tessuti in senso pro-ossidante. Quando i fattori pro-ossidanti sopraffanno quelli anti-ossidanti si verifica l’intervento di un agente patogeno che, di per se stesso insufficiente a causare patologia, agisce quale concausa efficace che non va trascurata. Infatti, a questo proposito, si può evocare l’immagine di una pistola come arma di un omicidio. Non è sufficiente l’arma con il proiettile in canna, ma occorrono che la sicura sia disattivata e che un dito prema il grilletto, sebbene questi due elementi (concause), senza i primi, non bastino per uccidere, ma sono cofattori efficaci perchè l’arma uccida.
Anche per l’amianto, per esso l’amianto epossido, il meccanismo della cancerogenesi parte dalla prima tappa, comune a tutti i cancerogeni: l’alterazione del DNA. La lesione primaria, se non eccede in quantità e durata i meccanismi di difesa dell’organismo, puo’ anche essere riparata, in prima battuta grazie agli enzimi riparatori specifici, in seconda istanza, dal sistema immunitario che rigetta le cellule arrivate ad essere cancerose. Si è visto che le fibrille del minerale nocivo possono localizzarsi in qualunque distretto dell’organismo, e dovunque possono danneggiare la molecola del DNA. Quindi, semplicisticamente, potremmo anche aspettarci un tipo di tumore uniformemente monotono in tutte le sedi; al contrario, ogni tipo di tessuto risponde allo stimolo morboso a modo suo, condizionando non solo le caratteristiche morfologiche della neoplasia, ma anche il tempo di latenza, la frequenza - o prevalenza - in una popolazione esposta, la velocità di crescita, in breve, la storia naturale dell’affezione maligna. Tutto ciò poi si integra anche con le caratteristiche metaboliche dei tessuti dell’individuo colpito dalla noxa morbigena: vale a dire, l’età del soggetto, il suo stato nutrizionale, soprattutto l’equilibrio della bilancia perossidativa, oltre alla presenza od assenza di altre esposizioni nocive. Queste condizioni biologiche, attraverso il contributo del sinergismo e del potenziamento, possono stare alla base dell’estema variabilita’ delle risposte patologiche al medesimo agente nocivo, che si affiancano alle patologie classiche asbesto-correlate, qual’e’ il mesotelioma pleurico.
Il cumulo di tutte queste considerazioni ed informazioni potrebbe costituire un patrimonio unico e prezioso, nelle mani dei sanitari più o meno “competenti” ope legis, chiamati ad esercitare sul paziente – o sul soggetto ancora solamente esposto alle fibrille killer – la cosiddetta sorveglianza sanitaria. Infatti, la salute del Nostro avrebbe bisogno di tanta scienza e di altrettanta coscienza.
A proposito di patologia amianto-correlata di tessuti dell’organismo diversi dalle sierose (pleura, pericardio, peritoneo, ecc.) la letteratura scientifica citata in precedenza ha dato un’idea della partecipazione anche dell’apparato gastroenterico. Altre pubblicazioni recenti, reperibili liberamente nelle fonti bibliografiche, hanno descritto la partecipazione dei tessuti linfoemopoietici alla funzione di bersaglio del cancerogeno amianto, basate su ricerche sperimentali e/o epidemiologiche osservazionali. Si tratta di: Kagan (1979) - leucemia linfocitaria cronica, mieloma IgA e mieloma IgG, Waxweiler e Robinson (1983) - linfoma non-Hodgkin, Kagan e Jacobson (1983) - leucemia cronica linfocitaria, mieloma IgG e mieloma IgA, Battista et al. (1999) – mieloma muliplo, e Becker et al. (2001) – linfomi maligni. In termini concreti, ciò significa che, almeno dal 1979 in poi, non sarebbe stato più possibile ascrivere all’esposizione ad amianto il solo mesotelioma pleurico, ma anche ad una moltitudine di altre affezioni letali: letteratura scientifica docet.
A.9. Potenziamento tossicologico 1 + 1 + 1 = 9, 10 e piu’:
La letteratura scientifica ha messo in evidenza che l’abitudine di fumare tabacco comporta un potenziamento del rischio, e della patologia amianto-correlata. Questo fenomeno trova un’espressione significativa nell’equazione che suggerisce i rapporti quantitativi degli effetti dei due agenti patogeni: Fumo di tabacco + Amianto = [10 x + 13 x] non 23 x ma 50-60 volte.
Altrettante considerazioni meritano di essere fatte a proposito di un’altra circostanza, questa volta iatrogena, che può essere considerata quale possibile concausa effettiva della patologia amianto-correlata. Si tratta di una terapia marziale attuata col proposito di curare un’anemia somministrando Fe inorganico per via parenterale: questo comporta un aumento delle specie reattive dell’ossigeno, con squilibrio della bilancia perossidativa in senso pro-ossidante. Effetti analoghi possono essere realizzati con altre pratiche iatrogene, questa volta a scopo diagnostico e non terapeutico, come l’esposizione a radiazioni ionizzanti: esse comportano un depauperamento delle difese organiche contro i cancerogeni.
Concludo che è necessario opporsi fortemente al progetto di “alta velocità” ritenendo opportuno che si eseguano lavori di miglioria della linea già esistente.
Saluti.
Roma, 17.12.2012
Il Presidente
(Avv. Ezio Bonanni)
1 Vocabolario della lingua italiana, Ist. Enc. Italiana Treccani, Roma 1994.
2 N.Tommaseo, B.Bellini, Dizionario della lingua italiana, voce ‘antofillite’,vol. I, UTE Ed,Torino 1865.
3 C.Anfosso, Dizionario di igiene popolare, Sonzogno Ed., Milano 1899.
4 Riferimenti Bibliografici: Battista G., Belli S., Comba P., Fiumalbi C., Grignoli M., Loi F., Orsi D., Paredes I. Mortality due to asbestos-related causes among railway carriage construction and repair workers. Mortalita’ dovuta a cause correlate all’asbesto tra i lvoratori della costruzione di vetture ferroviarie e della loro riparazione. Occup Med (Lond). 49 , 536-539, 1999; Becker N., Berger J., Bolm-Audorff U., Asbestos exposure and malignant lymphomas - a review of the epidemiological literature. Esposizione ad asbesto e linfomi maligni – una rassegna della letteratura epidemiologica. Int Arch Occup Environ Health. 74, 459-469, 2001. Review; Cotruvo J. A, COMMENTARY: Asbestos in Drinking Water: A Status Report; COMMENTARIO: Asbesto nell’acqua da bere: un rapporto sullo stato dell’arte Environ. Health Perspect. 53, 181-183, 1983; T.J. Delahunty & D. Hollander, Toxic effect on rat small intestine of chronic administration of asbestos in drinking water. Effetto nocivo sull’intestino tenue del ratto da somminstrazione cronica di asbesto nell’acqua da bere. Toxicol Letters, 39, 205-209, 1987; Donham K. J., Berg J. W., Will L. A., Leininger J. R., The Effects of Long-Term Ingestion of Asbestos on the Colon of F344 Rats, Gli effetti dell’ingestione prolungata di asbesto sul colon di ratti F344 Cancer 45, 1073-1084, 1980; Hallenbeck W.H., Hesse C.S, A review of the health effects of ingested asbestos, Una rassegna degli effetti sulla salute dell’asbesto ingerito Rev. Environ. Health 2, 157-166,1977; Kagan E., Jacobson R.J. , Lymphoid and plasma cell malignancies: asbestos-related disorders of long latency. Tumori maligni di cellule linfoidi e di plasmacellule: disturbi correlati all’asbesto con una lunga latenza. Am J Clin Pathol 80, 14-20, 1983; Kagan E., Jacobson R.J., Yeung K.Y., Haidak D.J., Nachnani G.H. Asbestos-associated neoplasms of B cell lineage. Neoplasie asbesto-correlate della linea cellulare B. Am J Med 67, 325-330, 1979; Pepelko W. E., Effect of exposure route on potency of carcinogens, Effetto della via di esposizione sulla potenza dei cancerogeni Regulat. Toxicol. Pharmacol., 13, 3-17, 1991; Waxweiler R., Robinson C., Asbestos and non-Hodgkin's lymphoma. Asbesto e linfoma non-Hodgkin. Lancet. 1(8317), 189-190, 1983.
5 La ricerca biomedica, sia quella sperimentale, sia quella epidemiologica osservazionale, ha dimostrato la nocivita’ dell’amianto ingerito. La pubblicazione piu’ significativa è quella di Hallenbeck & Hesse (1977) secondo la quale gli studi dell‘ingestione negli animali e delle autopsie umane suggeriscono che le fibre di asbesto possono penetrare nella parete intestinale e migrare verso altre localizzazioni nell’organismo. Poi Donham et al. (1980) hanno evidenziato l’insorgenza di un mesotelioma maligno, del tipo provocato da asbesto iniettato intraperitoneo, nel ratto alimentato con dieta contenente asbesto; in base all’evidenza della penetrazione delle fibre di asbesto nei tessuti del colon, indagini di microscopia elettronica, questi autori concludono che l’asbesto ingerito non è innocuo per il colon, né per distretti dell’organismo in cui si localizzano le fibrille killer. Infine Cotruvo (1983) ha riferito che l’evidenza epidemiologica del rischio da ingestione di acqua contenente fibre di asbesto non è convincente, tuttavia il cancro gastrointestinale di origine occupazionale può indicare un rischio da ingestione. Secondo Delahunty e Hollander (1987) la somministrazione cronica di fibre di asbesto nell’acqua da bere nel ratto porta alla diminuzione della capacità della parete intestinale di assorbire zuccheri scarsamente metabolizzabili impiegati come modello sperimentale; tale fenomeno dimostra un danno funzionale diretto sulla parete intestinale dovuto all’asbesto ingerito. Pepelko (1991) ha studiato le differenze del potere cancerogeno di alcuni agenti morbigeni, nel ratto e nel topo, dipendenti dalle vie di somministrazione, inalatoria o gastrointestinale; nel ratto, differenze nella potenza superiori a 10 volte furono trovate per l’asbesto, il cloruro di vinile, e l’idrazina. Nel caso dell’asbesto, l’agente si trovava comunemente sotto forma di materiale particellare relativamente insolubile. Secondo questo autore, la maggiore potenza cancerogena espressa dalla somministrazione per via inalatoria, rispetto a quella orale, è verosimilmente dovuta alla maggiore lunghezza del tempo di soggiorno negli alveoli polmonari rispetto a quello nell’intestino; ciò favorirebbe una maggiore biodisponibilità con una maggiore azione morbigena. Parallelamente, nel corso degli ultimi decenni, altri autori hanno riferito risultati negativi per la cancerogenicità dell’asbesto ingerito.

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