giovedì 8 novembre 2018



La ricerca del capro espiatorio dopo ogni grave evento è una pratica consolidata e serve a nascondere le vere responsabilità umane nella trasformazione degli ambienti naturali, specialmente quelle che hanno interessato i fiumi e i territori circostanti.
In merito riportiamo alcune considerazioni dal mondo scientifico.

LA STAMPA

Pulire i fiumi più spesso? Non serve
Ma davvero fiumi e torrenti dovrebbero essere dragati periodicamente per evitare le
alluvioni? Per gli esperti è inutile, come rimuovere alberi e vegetazione dalle rive.
Servono piuttosto opere filtranti dove necessario e sofisticati sistemi di allerta


Pubblicato il 07/11/2018


JACOPO PASOTTI

Nell’immediato dopo-disastro idrogeologico, nei commenti dei politici, ma anche nei social, negli articoli e nelle opinioni sui media, una domanda ricorre di frequente. Quasi stupiti dal comportamento apparentemente infuriato di fiumi e torrenti, dal Bellunese e lungo tutta una penisola che improvvisamente si ricorda di essere un Paese di montagna, ci si chiede: perché fiumi e torrenti sono ancora una minaccia? Li curiamo? Li curiamo perfino troppo? Andrebbero puliti? O andrebbero addirittura dragati, scavati in profondità perché possano accogliere alluvioni cariche di metri cubi di legname, massi e fango? Secondo Francesco Comiti, professore di sistemazioni idraulico forestali alla facoltà di Scienze Tecnologiche dell’Università di Bolzano, specializzato proprio nel ruolo della vegetazione nei corsi d’acqua, sul tema si fa troppa confusione.

“Bisogna distinguere tra la pulizia eseguita subito dopo una piena eccezionale come quella nel Bellunese, e quelle che eseguite periodicamente potrebbero essere una misura di prevenzione”, dice Comiti. “Le prime sono necessarie, soprattutto nei tratti urbani. Le seconde sono un rimedio molto utilizzato, ma che di fronte a eventi straordinari come questo sono praticamente inutili. A dircelo sono decenni di osservazioni scientifiche.”

Una pulizia periodica dunque serve a poco o niente di fronte a piene di questa entità. Viceversa, spiega ancora Comiti, la pulizia reiterata di sedimento e vegetazione dai fiumi è un grave danno per l’ambiente fluviale, perché fa soffrire tutti gli organismi che lo abitano, in primis i pesci.

C’è poi una differenza, e importante, tra fiumi e torrenti. La maggior parte dei fiumi (per intenderci i corsi d’acqua ampi in pianura o nelle valli principali) sono stati privati di milioni di metri cubi di sedimento dagli anni 60 agli anni 90 del secolo scorso. E non tanto per scopi di prevenzione, quanto per ricavare inerti per l’edilizia. Ciò ha comportato abbassamenti di molti metri dell’alveo. Dragare può avere senso in tratti dove c’è una intensa sedimentazione, e dove questa arrechi un vero problema di esondazione.

Ma, dice Comiti, “come per la rimozione delle vegetazione, quando arriva la piena questi scavi non servono a nulla”. E insiste: “Nella maggioranza dei casi invece i sedimenti vengono rimossi dove è più comodo per ottenere il maggior ricavo dalla vendita di sabbia e ghiaia, senza nessun beneficio idraulico.”

I torrenti invece (corsi d’acqua stretti, spesso ripidi, nelle valli secondarie) sono stati massicciamente “corretti” nella seconda metà del secolo scorso ridisegnandone il profilo a gradinata. Sistemazioni vecchie e instabili, opere in cattivo stato o vecchie, possono essere perfino peggio durante una alluvione. Gradinate recenti e in buono stato possono invece mitigare, “ma in eventi importanti aiutano solo poco.”

Nel Bellunese tutte le opere di manutenzione e messa in sicurezza c’erano: ma non sono bastate.

Nel caso delle esondazioni recenti una pulizia era stata fatta? “Nel Bellunese, così come in tutte le provincie delle Alpi, il taglio della vegetazione periodica in alveo e sulle sponde viene eseguita da decenni”, chiarisce Comiti.

“Ho studiato molti dei corsi d’acqua interessati dall’alluvione, soprattutto nell’Agordino, e quindi conosco bene la situazione”, spiega il geomorfologo. “Questi tagli non possono essere il rimedio, semplicemente perché durante un’alluvione in montagna una quantità enorme di legno crolla nell’alveo a causa di frane, colate, e schianti da vento. E se, per assurdo, rimuovessi grandi quantità di alberi in una vallata, forse risolverei il problema dei tronchi, ma le alluvioni le avrei lo stesso. Anzi probabilmente peggiori!”

Dopo decenni di studi compiuti dopo esondazioni in Italia e in Europa abbiamo visto che la vegetazione trascinata dalla corrente è stata il fattore chiave di una alluvione solo in pochi casi, precisa Comiti.

E suggerisce alcune soluzioni. Tra queste ci sarebbero maggiori opere filtranti (briglie aperte), ma solo dove veramente necessario. Servirebbero per trattenere sedimento e legname durante le piene, ma lo lascerebbero passare durante i periodi di “pace”. Ci sarebbero poi i più sofisticati sistemi di allerta, dove fattibili. In questo caso ci sono sensori specifici collegati a strumenti che trasmetterebbero automaticamente un segnale di allarme a tecnici o anche direttamente ai cittadini (per esempio tramite sirene e sms).

Comunque, conclude Comiti: “I tronchi negli alvei hanno un grandissimo valore per l’ecosistema acquatico, mentre la loro rimozione periodica instilla solamente un falso senso di sicurezza. Durante la piena i volumi di legno che arrivano alla rete fluviale sono migliaia o anche milioni di volte più grandi rispetto a quanto tolto.”

Pubblicato il 07/11/2018

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Venezia, 5 novembre 2018

I pericolosi luoghi comuni del Ministro Salvini e del Presidente del Consiglio Conte sulla gestio
fiumi

Dragare i fiumi e rimuovere gli alberi dagli alvei, ecco la ricetta del Ministro Salvini contro le alluvioni. Il
Presidente del Consiglio Conte apparentemente approva, perché “la tutela delle vite umane viene prima dei
vincoli ambientali”, Peccato che lo si sia fatto per decenni e spesso lo si continui a fare, causando non solo
ingenti danni all’ambiente, ma spesso anche un aumento del rischio per le popolazioni. Canalizzare i fiumi
non è la soluzione, ma parte del problema, soprattutto se nel frattempo non si arresta il consumo di suolo e
si continua, drammaticamente, a condonare o a non perseguire gli abusi edilizi.

Siamo molto preoccupati per questi approcci semplicistici, che rischiano di riportarci indietro di decenni –
dichiara Andrea Goltara, direttore del CIRF – numerosi studi mostrano come l’eccesso di escavazioni diffuse
in alveo abbia fatto “sprofondare” anche di molti metri un gran numero di corsi d’acqua del nostro Paese,
creando dissesto, invece che ridurlo, con effetti negativi spesso difficilmente reversibili. E anche la presenza
di vegetazione in alveo, se in alcuni tratti può essere fonte di rischio, in molti altri può invece ridurlo,
rallentando il deflusso delle acque o intrappolando il legname proveniente dai versanti, prima che giunga
contro le pile dei ponti. La gestione più adatta dipende dal contesto, non ci sono soluzioni valide
ovunque. I fiumi e il territorio non si possono governare per slogan, ma solo sulla base di adeguate
conoscenze e comprensione dei processi in gioco.
Il CIRF, che riunisce tecnici di tutta Italia che si occupano di fiumi in modo integrato, invita il Ministro
dell’Ambiente Sergio Costa a riportare la discussione su un corretto piano tecnico-scientifico e a garantire
la piena attuazione della normativa nazionale sulla pianificazione e gestione dei corsi d’acqua. Una
normativa che, sulla base delle direttive europee, fornisce gli strumenti adeguati sia per la gestione del
rischio di alluvioni, che per la tutela delle acque e che chiarisce come ridurre l’artificializzazione dei corsi
d’acqua sia spesso la migliore soluzione per garantire più sicurezza. Ma che è ancora troppo spesso, nella
pratica, disattesa.

Proprio alla fine di ottobre il CIRF ha organizzato il IV Convegno Italiano sulla Riqualificazione Fluviale,
quest’anno incentrato sul tema “Tra cambiamento climatico e consumo di suolo: la riqualificazione fluviale
per un nuovo equilibrio del territorio”, dove si sono discusse numerose esperienze concrete italiane ed
europee ed è stato assegnato il primo premio nazionale per il migliore intervento di riqualificazione fluviale.
A due amministrazioni, proprio in Veneto e in Trentino Alto Adige, che, in contesti diversi e con interventi
ambiziosi e di lungo periodo, hanno saputo ben coniugare riqualificazione ambientale e riduzione del rischio
di alluvioni. Riducendo l’alterazione dei corsi d’acqua e con l’aiuto della vegetazione.
Eventi come quelli degli ultimi giorni, eccezionali, ma che diventeranno con ogni probabilità sempre più
frequenti, dovrebbero essere l’occasione per ripensare il nostro modo di gestire il territorio e, dove possibile,
ritornare sui nostri passi, promuovendo la delocalizzazione di beni esposti, arretrando le opere di difesa
e restituendo più spazio ai fiumi, non certo in nome di un “ambientalismo da salotto”, ma proprio per
ridurre il rischio per la popolazione. Ricostruire tutto come prima in somma urgenza e riproporre ricette
fallimentari sono il modo migliore per spianare la strada ai disastri di domani.

Contatti: Andrea Goltara, direttore CIRF
a.goltara@cirf.org

CIRF - Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale
Viale Garibaldi 44/A – 30173 Mestre
Mail: info@cirf.org, PEC: infocirf@pec.it, Web: www.cirf.org, Tel. 389 1104025, Fax 041 9636690





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