lunedì 29 gennaio 2024

 

La Giornata Mondiale delle Zone Umide (World Wetlands Day), il 2 febbraio, celebra la firma avvenuta nel 1971 della Convenzione internazionale di Ramsar sulle zone umide di importanza internazionale.

Per  zone umide, così come vengono definite nella Convenzione, si intendono “le paludi e gli acquitrini, le torbiere oppure i bacini, naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra, o salata, ivi comprese le distese di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea, non supera i sei metri”. La Convenzione di Ramsar è lo strumento che fornisce ai 170 Paesi firmatari le Linee Guida per la conservazione e l’uso razionale di queste aree e delle loro risorse, ed è l’unico trattato internazionale sull’ambiente che si occupa di questi particolari ecosistemi che, oltre ad accogliere e conservare una ricca diversità biologica di piante, uccelli, mammiferi, rettili, anfibi, pesci e invertebrati, garantiscono ingenti risorse di acqua e cibo e svolgono una funzione fondamentale di mitigazione dai cambiamenti climatici.

 

Val Lemme

Situazione 2014


Situazione 2015
 

In occasione della giornata Mondiale delle Zone Umide vorremmo portare all’attenzione di tutti la devastazione di un ambiente naturale per l’avanzare del “progresso”.

La zona della Val Lemme è stata interessata da grandi lotte per la salvaguardia dell’acqua, un bene prezioso e insostituibile, non sempre andate a buon fine. Lungo il torrente Lemme negli anni ’50 fu aperta una cava per l’estrazione di marna dalla ditta Cementir che, dopo averne dichiarato l’esaurimento, è stata abbandonata lasciando spazio ad una lenta ma costante rinaturalizzazione. Infatti, lungo la sponda è possibile trovare uno degli habitat riconosciuto a livello europeo: l’habitat prioritario 91E0* Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae). Anche grazie alla sua presenza questa gigantesca ex cava rientra nei confini della ZSC/ZPS Capanne di Marcarolo, il parco naturale più grande della provincia di Alessandria.

Eppure, nel 1992, quest’area viene vista con grande interesse dal progetto della Grande Opera “Terzo Valico dei Giovi”, ideato dal Cociv (Consorzio Collegamenti Integrati Veloci). Tra inizi di scavi per i tunnel nel 1998 bloccati e progetti rigettati dal Ministero dell’Ambiente bocciati in sede di VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) passano più di vent’anni.

È solo nel 2002 che quasi tutti gli Enti interrogati pronunciano un “parere positivo con prescrizioni” all’ennesimo progetto presentato dal Cociv, solo il Comune di Arquata Scrivia e il Parco delle Capanne di Marcarolo non concordano. Nel 2011 vengono stanziati le prime risorse monetarie per iniziare i cantieri che vedranno l’apertura dei cantieri in Val Lemme e aree limitrofe.

Ma che c’entra il Terzo Valico con l’Ex Cava Cementir? Questa cava rientra nel progetto di lavoro del Lotto1 ed è stata riaperta come discarica di materiale litoide proveniente dagli scavi delle gallerie. Inizialmente il piano prevedeva lo stoccaggio di oltre 4 milioni di m3 di smarino successivamente ridotti a 1,2/1,3 milioni di m3. Nel 2019, però, è stato stimato uno stoccaggio di 2 milioni di m3.

Il 18/01/2013 viene trasmessa dal COCIV la documentazione progettuale ai fini dell’avvio della procedura di Verifica di Attuazione per il Terzo Valico, che viene presa in carico; e la cui risposta arriva più di un anno dopo, il 27/06/2014 con parere negativo e la richiesta di nuovi documenti sull’Impatto Ambientale. Nonostante tutto in quell’anno iniziano i lavori sul torrente Lemme.

Legambiente Val Lemme non è mai riuscita ad ottenere la documentazione della Valutazione d’Incidenza, probabilmente perché non esiste.

Nella parte sud della cava era presente un’area umida di grande importanza in quanto si trovava in una posizione favorevole alla migrazione delle specie anfibie, siccome tra i rii di sponda sinistra compresi nella ZSC e l’area indicata, non vi sono strade asfaltate da attraversare.

Tra il 2014 e il 2015 questo sito viene tombato. L’area era sito di riproduzione di rospo comune Bufo bufo, rana dalmatina Rana dalmatina, rana temporaria Rana temporaria e risultava importante per rana verde maggiore Pelophylax ridibundus, tritone alpestre Ichthyosaura alpestris, natrice viperina Natrix maura, natrice dal collare Natrix natrix. Sempre nel 2014 sono stati richiesti i documenti sull’Impatto Ambientale e le Valutazioni di Incidenza dei lavori,, ma senza successo.  Oltre alla tombazione della pozza, nel 2015, il Cociv ha provveduto a rafforzare le sponde del torrente con la messa in posa di massi ciclopici con modalità differenti da quelle dichiarate nel progetto 2014. I lavori sono andati a modificare profondamente il letto del torrente e la sua sponda destra (che non rientrava nel progetto). Queste difformità sono state successivamente confermate nella documentazione presentata proprio dal Cociv nel 2018.

Nel frattempo, i lavori non si sono fermati e sarebbe interessante sapere quale è la vera quantità di smarino ad oggi depositata.

 

 

 

martedì 7 novembre 2023

Cemento affari alluvioni

Luca Mercalli: “Cemento e affari, per questo ogni anno contiamo decine di morti nelle alluvioni”

“Il consumo di suolo aumenta perché prevalgono gli interessi economici delle imprese e dei privati. I proprietari di terreni agricoli non vedono l’ora che diventino edificabili per vederne improvvisamente decuplicato il valore. Così, anno dopo anno, cresce la cementificazione”.

da https://www.fanpage.it/attualita/luca-mercalli-cemento-e-affari-per-questo-ogni-anno-contiamo-decine-di-morti-nelle-alluvioni/ 

Intervista a Luca Mercalli - Climatologo

A cura di Davide Falcioni


"La cementificazione aumenta la vulnerabilità del territorio. Continuiamo a costruire anche in zone riconosciute a rischio idrogeologico, di conseguenza non possiamo aspettarci che il rischio di alluvioni diminuisca. Al contrario, quel rischio in futuro aumenterà". 

A dirlo, intervistato da Fanpage.it, il climatologo e divulgatore scientifico Luca Mercalli, mentre è ancora in corso la conta dei danni delle alluvioni che si sono abbattute sulla Toscana nei giorni scorsi; fenomeni tutt'altro che inattesi dagli scienziati, che da decenni mettono in guardia contro l'aumento del consumo di suolo, una dinamica che sembra non avere limiti a causa degli interessi economici che è in grado di generare.

Il consumo di suolo, infatti, è da anni costantemente in crescita. Nel suo rapporto annuale, pubblicato alcune settimane fa, l'Ispra ha certificato un aumento della cementificazione a livello nazionale del 10% nel 2022 rispetto all'anno precedente. Tre regioni detengono il primato del consumo percentuale maggiore rispetto alle superfici totali: Lombardia (12,16%), Veneto (11,88%) e Campania (10,52%), seguite da Emilia-Romagna, Puglia, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Liguria, tutte con valori compresi tra il 7 e il 9%.

La Toscana, negli scorsi giorni flagellata dal maltempo, è al 6,17%, con un incremento dello 0,17% rispetto al 2021. Un valore relativamente basso, che tuttavia non è bastato a scongiurare conseguenze drammatiche per la popolazione: le vittime accertate delle alluvioni sono almeno sette e soprattutto in provincia di Prato e Pistoia ci sono ancora intere aree sommerse dall'acqua e dal fango e sono molti gli abitanti costretti a dormire fuori casa.

Prima della Toscana, tuttavia, era stata la volta di Senigallia nel settembre 2022 (13 morti), poi di Ischia due mesi dopo (12 morti), infine dell'Emilia Romagna nel maggio scorso (17 morti). In poco più di un anno, dunque, alluvioni e inondazioni hanno causato decine di vittime e danni per miliardi di euro.

Dopo Senigallia e Ischia dell’autunno 2022, la Romagna della primavera 2023 e la Toscana dei giorni scorsi. Ogni anno in Italia si contano decine di morti a causa di inondazioni e alluvioni. Questo scenario, già drammatico, è destinato a peggiorare ulteriormente nei prossimi anni?

 Sicuramente. Il riscaldamento climatico determinerà un aumento dell'intensità e della frequenza degli eventi meteo estremi, amplificando un problema che comunque è presente da sempre nel nostro Paese. È bene infatti ribadire che l'Italia è molto esposta al rischio idrogeologico ed ha una storia di alluvioni e frane millenaria. Adesso, alle caratteristiche intrinseche del nostro territorio, si aggiunge il cambiamento climatico.

È stato pubblicato alcuni giorni fa il nuovo rapporto Ispra sul consumo di suolo: a livello nazionale la crescita della cementificazione nel 2022 rispetto al 2021 è stata del 10%. 

 E la cementificazione aumenta significativamente la vulnerabilità del territorio. Continuiamo a costruire anche in zone riconosciute a rischio idrogeologico, di conseguenza non possiamo attenderci che il rischio di alluvioni diminuisca. Al contrario, quel rischio aumenterà in ragione di questi due fenomeni dinamici: da una parte il cambiamento climatico, dall'altra il consumo di suolo. Entrambi agiscono su un'Italia da sempre fragile ed esposta. Il rammarico, semmai, è che noi scienziati ripetiamo queste cose da ormai trent'anni. La prima alluvione di cui mi sono occupato in maniera professionale è stata quella del Tanaro, in Piemonte, di inizio novembre del 1994. Quell'evento provocò oltre settanta morti. Sono passati 29 anni.

Perché, nonostante le tragedie aumentino di frequenza, manca ancora in Italia una legge organica contro il consumo di suolo?

 Ma questo è chiaro! Prevalgono gli interessi economici delle imprese ma anche dei privati. I proprietari di terreni agricoli non vedono l'ora che diventino edificabili per vederne improvvisamente decuplicato il valore. Insomma, ci sono interessi da tutte le parti: lobby, industrie, singoli cittadini proprietari di terreni, e in questo contesto è difficilissimo per la politica inserirsi e introdurre dei vincoli.

Ci sono territori particolarmente esposti in Italia?

 Tutta Italia è a rischio, ma è la carta del rischio idrogeologico dell'Ispra mostra chiaramente le aree più vulnerabili anche in funzione del numero degli abitanti che vi risiedono. A tal proposito è interessante notare che le zone in cui abbiamo avuto le ultime drammatiche alluvioni sono anche tra le più esposte al consumo di suolo. Penso alla Romagna, con l'alluvione dello scorso maggio, ma anche alla zona di Prato, in Toscana. Si tratta di aree in cui la cementificazione negli ultimi anni è stata galoppante e nelle quali negli ultimi cinquant'anni si è costruito in modo smisurato. Sia la Romagna che i territori toscani colpiti negli ultimi giorni erano notoriamente a rischio inondazione. Eppure in quelle aree sono state costruite autostrade, quartieri, capannoni, parcheggi, centri commerciali…

Come giudica l’operato dell'attuale governo italiano nella lotta al cambiamenti climatici?

 Questo non è certamente un governo amico dell'ambiante. È, al contrario, il governo del "facciamo", "costruiamo", l'esecutivo che ogni giorno promette di togliere ogni genere di vincolo per fare cassa. È questa la filosofia dell'attuale governo, ma va detto che i precedenti non si sono comportati molto meglio. Nel 1970 la Commissione Interministeriale De Marchi, costituita dopo l'alluvione di Firenze del 1966, spiegò che laddove vi fossero state aree a rischio idrogeologico non si sarebbe dovuto costruire più nulla. Sono trascorsi oltre 50 anni, si sono succeduti decine di governi. Quel rapporto è chiuso in un cassetto e sembra ormai dimenticato.

Tra qualche settimana si terrà la 28ª conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP 28). Quali sono le sue aspettative?

 Molto basse. Non mi aspettavo molto l'anno scorso, con la guerra in Ucraina, e mi aspetto ancora meno quest'anno con l'aggiunta del conflitto in Medio Oriente. Mi sembra che ancora una volta le priorità della politica mondiale non siano rivolte verso il clima e l'ambiente, purtroppo.

Vuol dire che le Conferenze sul clima sono inutili?

 No, assolutamente. Ma è stato raccolto sempre troppo poco. Si è creata una grande burocrazia climatica internazionale che oggi vive di limature degli articoli, aggiungendo o tagliando commi di legge. Il problema è che manca la svolta, è totalmente assente una visione radicalmente nuova. La svolta necessaria sarebbe prendere coscienza una volta per tutte che non si può andare avanti così, che occorre cambiare il nostro sistema economico, rivedere il nostro modello di sviluppo, annullare tutti i sussidi all'industria fossile. Insomma, sarebbero ben altre le cose da fare. Invece ogni anno ci si accontenta di piccoli dettagli.

Non trova bizzarro che la prossima Cop sia stata organizzata a Dubai, Emirati Arabi Uniti, nel Paese che è il sesto esportatore mondiale di petrolio?

 Altroché. È molto curioso che il Paese ospitante sia una nazione petrolifera e che il presidente della Conferenza sia addirittura un petroliere. Ecco, vede le contraddizioni delle "burocrazie climatiche"…

 Nel frattempo il cambiamento climatico non attende.

No, il 2023 diventerà molto probabilmente l'anno più caldo della storia. E il 2024 potrebbe essere addirittura peggiore per effetto del Niño che avanza. Ma di questo avremo modo di riparlare.

 

 


giovedì 2 novembre 2023

Il CIRF sullo stop al Piano di Rinaturazione del Po

Riportiamo il comunicato stampa del Centro Italiano di Riqualificazione Fluviale sul Piano di Rinaturazione del Po



A RISCHIO LA RINATURAZIONE DEL PO: 

UNA SCONFITTA  CULTURALE TUTTA ITALIANA


 Mentre molti Paesi europei - in linea con le direttive UE - si stanno prodigando in interventi ad ampia scala di riqualificazione fluviale e di ripristino della connettività di grandi fiumi (Rodano, Reno, Mosa, Danubio, Dordogne, Ebro, Isar, ecc) anche grazie ai fondi Next Generation EU, in Italia stiamo assistendo al tentativo di bloccare il progetto di rinaturazione del Po.

 L’UE ha stanziato 357 milioni per un piano di 56 interventi, da attuarsi lungo il Po entro il 2026, necessari per ridurre il rischio di alluvioni, ripristinare importanti servizi ecosistemici e garantire la conservazione di habitat naturali e biodiversità, oggi drammaticamente compromessi. 

 La rinaturazione del Po è l’unica misura del PNRR specificamente orientata alla riqualificazione di un fiume e anche, più in generale, alla ricostituzione di sistemi naturali. Contrariamente agli altri Stati Membri, l’Italia ha destinato a questo obiettivo una porzione molto ridotta delle risorse disponibili, ignorando gli indirizzi della UE e senza ascoltare la voce di molte imprese che vedono nella riqualificazione ecologica del territorio un fattore essenziale per migliorare l’adattamento al cambiamento climatico e garantire la sopravvivenza delle proprie attività economiche nel lungo periodo. Anche per queste ragioni, le critiche al progetto appaiono francamente inspiegabili.

 Al centro della protesta delle principali associazioni agricole vi è l’accusa di voler mettere in crisi la pioppicoltura padana, con la “revoca di concessioni in atto ed ’esproprio di aree a pioppeto in proprietà o in gestione per più di 7.000 ettari lungo il fiume Po”. Tale denuncia, tuttavia, è chiaramente strumentale e infondata. Gli interventi previsti dal progetto, infatti, riguardano il ripristino di vegetazioni forestali e di forme fluviali per poco più di 1700 ettari - non quindi per 7000 - ma di questi solo il 10%, meno di 200 ha, è costituito da terreni coltivati, trattandosi in prevalenza di tratti di alveo, di opere spondali e di terreni incolti.

 La posizione di Coldiretti e delle altre associazioni di settore vorrebbe essere a tutela di una categoria, quella degli agricoltori, che nel tempo non ha fatto che sfruttare il fiume rendendolo sempre più vulnerabile e ha messo a rischio anche la propria sopravvivenza futura. Una categoria che in Europa sta facendo pregiudizialmente le barricate contro una proposta di legge, quella sul ripristino della natura, importantissima non solo per la tutela degli ecosistemi, ma anche per il futuro dell’economia europea, incluso il settore agricolo. Tutelare la biodiversità nelle aree agricole e ripristinare la salute del suolo è fondamentale per garantire un futuro all’agricoltura, anche nella Pianura Padana. Gli attuali rappresentanti di categoria, facendo la guerra a queste misure di adattamento, stanno dimostrando la loro drammatica inadeguatezza di fronte alle sfide del cambiamento climatico e stanno danneggiando in primo luogo gli agricoltori.

 Ripristinare più spazio e natura lungo i corsi d’acqua, poi, è fondamentale per la sicurezza di tutta la popolazione. I fiumi italiani, e non solo, soprattutto dagli anni ‘50 in poi, sono stati interessati da intensi processi di restringimento (generalmente >50% con massimi fino a 85-90%) e incisione degli alvei (comunemente dell’ordine di 3-4m e talvolta fino a 10-12m) che spesso ne hanno cambiato completamente l’aspetto. Queste variazioni morfologiche, di origine antropica, dovute soprattutto all’eccesso di escavazione di sabbia e ghiaia nei fiumi, hanno portato a una banalizzazione dei sistemi fluviali, con conseguente perdita di biodiversità e di capacità di fornire servizi ecosistemici. Contestualmente, le aree di pertinenza fluviale sono state per lo più occupate dall’attività agricola, da strutture e infrastrutture, aree urbane e industriali; questo ha causato una riduzione della capacità di laminazione delle piene e un incremento del rischio geo-idrologico, nonostante la costruzione di opere di difesa dalle alluvioni, perché sempre più elementi vulnerabili hanno occupato aree che possono essere inondate o interessate dalla dinamica morfologica. È ormai ampiamente documentato che la riduzione dell’artificialità e il recupero delle dinamiche morfologiche promuove il miglior funzionamento dei sistemi fluviali, sia in chiave di conservazione della biodiversità che di riduzione del rischio di alluvioni. E questo tipo di azioni è ampiamente finanziato in buona parte dei Paesi europei.

  Proprio per questo, come specificato dall’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po “Il progetto di Rinaturazione del fiume Po assume un ruolo straordinariamente strategico per gli equilibri morfologici ed ecologico-ambientali dell’area interessata dal corso d’acqua più lungo d’Italia e insieme agli interventi di difesa idraulica rappresenta una delle misure più importanti della pianificazione distrettuale attuativa delle Direttive comunitarie acque (Direttiva 2000/60/CE) e alluvioni (Direttiva 2007/60/CE)”.

 L’urgenza di attività di ripristino della zona (riforestazione, contrasto delle specie alloctone, apertura di rami secondari del fiume Po, riattivazione di lanche e modifica di difese spondali) era stata segnalata già nel 2000 da Roberto Passino, primo Segretario dell’Autorità di Bacino del Po. “Il Po per larga parte non è più un fiume”, diceva, aggiungendo che “quando un fiume non ha le fasce fluviali, gli si tolgono le anse, si modifica la sezione dell'alveo, si realizzano opere al suo interno, le città hanno uno sviluppo urbanistico verso il fiume, l'agricoltura tende ad avvicinarsi al fiume soffocandolo, e le norme vigenti non sono rispettate, ci troviamo di fronte ad un insieme di situazioni che sinergicamente influiscono (negativamente) sulle conseguenze delle alluvioni”.

 “Alla luce di quanto sopra”, commenta Andrea Goltara, direttore del CIRF - Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale - “risulta del tutto inaccettabile per il nostro Paese rischiare di perdere una occasione unica come questa, finanziata dalla UE. Affermare, come ha fatto Coldiretti, che il progetto “rischia di infliggere una ferita profonda al nostro territorio, all’economia delle nostre terre, alla vita stessa che si è sviluppata nei secoli intorno al nostro grande fiume” non ha alcun fondamento”.

 Altrettanto inaccettabile è l’ipotesi di bacinizzazione del Po, nuovamente resuscitata dopo essere stata bocciata già in passato per motivi tecnici, prima che ambientali, e ora sbandierata come possibile alternativa alla rinaturazione. Trasformare il Po in una catena di laghi artificiali, come vorrebbe questo progetto, peggiorerebbe ulteriormente le condizioni già critiche di habitat e biodiversità, rendendo le popolazioni limitrofe ancora più esposte agli eventi estremi.

https://www.cirf.org/

mercoledì 1 novembre 2023

Timori per il blocco del Piano di Rinaturazione del fiume PO-PNRR


Il piano finanziato dalla UE, da attuarsi entro il 2026, serve a contrastare le alluvioni, ma è già fermo dopo le prime proteste dei pioppicoltori. 



Il piano di Rinaturazione del fiume PO è stato presentato al pubblico nella sede di Casale del Parco del Po Piemontese il 25 novembre 2022 dai rappresentanti di AIPO e dell’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po ed è stato finanziato dal PNRR. Per questo progetto, inserito al punto 3.3 della misura M2C4 “Tutela del territorio e della risorsa idrica” e parte della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, l’Ue ha stanziato 357 milioni per un totale di 56 interventi (di cui 9 in Piemonte), da attuarsi lungo il Po entro il 2026. 
parte qualche intervento su cui sono state fatte osservazioni (nello scorso dicembre anche da Legambiente), è importante per riforestare, rimuovere difese non strategiche, riattivare lanche e riaprire rami morti e quindi restituire spazio al fiume mitigando gli effetti negativi delle piene e delle alluvioni. Recentemente però l’AIPO (coautrice del progetto) dietro pressione dei pioppicoltori lombardi ne ha bloccato l’avanzamento
Le principali associazioni agricole criticano il progetto lamentando la revoca di concessioni in atto ed esproprio di aree a pioppeto in proprietà o in gestione arrivando (Coldiretti) addirittura ad agitare lo spauracchio di effetti devastanti sulla produzione di cibo .

La notizia del blocco, a inizio ottobre, ha fatto preoccupare molto il Wwf Italia (e non solo) che ha denunciato: «In questi ultimi giorni è stato sferrato un duro attacco al progetto di rinaturazione del Po, l’unico di questo tipo presente nel PNRR.    357 milioni per ripristinare quella importante fascia fluviale, fatta di boschi ripariali e lanche, che in questo ultimo secolo è stata erosa ed espropriata al fiume contribuendo alla sua canalizzazione, all’abbassamento dell’alveo (in alcuni punti si è abbassato fino a 5 metri), all’aumento del rischio idrogeologico, alla drastica perdita di habitat naturali e di biodiversità e alla riduzione di importanti servizi ecosistemici, che invece con questo progetto s’intende ripristinare. Un progetto che è stato elogiato anche da Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione europea, durante la sua visita alle zone alluvionate dell’Emilia-Romagna perché contribuisce e rendere il territorio più sicuro e a salvare vite umane, allineandosi ad altri importanti interventi di riqualificazione in Europa come sul Reno in Germania e Olanda o sul Danubio in Austria, Ungheria e Romania»   https://greenreport.it/news/economia-ecologica/il-governo-vuole-bocciare-il-progetto-di-rinaturazione-del-po-gia-finanziato-da-pnrr-ed-ue/

Che sia necessario e urgente ridare ai fiumi almeno parte dello spazio che, in particolare dalla metà del secolo scorso, è stato tolto loro dall’attività agricola, da infrastrutture, aree urbane e industriali con la conseguente riduzione della capacità di laminazione delle piene e un incremento del rischio geo-idrologico, è un fatto riconosciuto dalla letteratura scientifica e ben noto a tutti i tecnici preparati e privi di conflitto di interessi.

Basta confrontare ad esempio le foto aeree degli anni 50 con quelle attuali per constatare il restringimento di un tratto dell’alveo del Po tra Casale e Valenza con la messa a coltura di aree un tempo demaniali.

In merito alla rinaturazione giova ricordare che è prevista dall’art. 15. delle Norme di attuazione del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI) dell’Autorità Distrettuale del Po approvato con il DPCM del 24 maggio 2001:

Interventi di riqualificazione ambientale e di rinaturazione

 1. Il Piano ha l’obiettivo di promuovere interventi di riqualificazione ambientale e rinaturazione, che favoriscano:

- la riattivazione e l’avvio di processi evolutivi naturali e il ripristino di ambienti umidi naturali;

- il ripristino, il mantenimento e l’ampliamento delle aree a vegetazione  spontanea e degli habitat tipici, allo scopo di favorire il reinsediamento delle biocenosi autoctone e di ripristinare, ove possibile, gli equilibri ambientali e idrogeologici;

- il recupero dei territori perifluviali ad uso naturalistico e ricreativo.

Per quanto riguarda la pioppicoltura è utile ricordare che si tratta di una pratica vietata, nella fascia A, dall’art. 29 delle Norme di attuazione del PAI: 

Fascia di deflusso della piena (Fascia A)

2. Nella Fascia A sono vietate:

d) le coltivazioni erbacee non permanenti e arboree, fatta eccezione per gli interventi di bioingegneria forestale e gli impianti di rinaturazione con specie autoctone, per una ampiezza di almeno 10 m dal ciglio di sponda, al fine di assicurare il mantenimento o il ripristino di una fascia continua di vegetazione spontanea lungo le sponde dell’alveo inciso, avente funzione di stabilizzazione delle sponde e riduzione della velocità della corrente;  

le Regioni provvederanno a disciplinare tale divieto nell’ambito degli interventi di trasformazione e gestione del suolo e del soprassuolo, ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche e integrazioni, ferme restando le disposizioni di cui al Capo VII del R.D. 25 luglio 1904, n. 523;

Tale divieto è previsto proprio per evitare di realizzare potenziali aree-sorgente di materiale legnoso grossolano che potrebbe essere preso in carico dal corso d’acqua durante le piene laddove le correnti sono più veloci e possono verificarsi processi di erosione.

Infine ognuno di noi può verificare, percorrendo la sponda di un fiume, specialmente nei tratti di  pianura, quanto sia inapplicato l’art. 96 del Regio Decreto 25 luglio 1904, n. 523:

Sono lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i seguenti:

c) lo sradicamento o l'abbruciamento dei ceppi degli alberi che sostengono le ripe dei fiumi e dei torrenti per una distanza orizzontale non minore di nove metri dalla linea a cui arrivano le acque ordinarie. Per i rivi, canali e scolatori pubblici la stessa proibizione è limitata ai piantamenti aderenti alle sponde;

Le associazioni agricole non si limitano a contestare il Piano ma riprendono, in alternativa, l’ipotesi di bacinizzazione del Po (costruzione di una serie di dighe che accentuerebbero le criticità) già accantonata in passato e respinta dalle associazioni ambientaliste piemontesi in un libro del 1988 dal titolo più che mai attuale: I fiumi italiani e le calamità artificiali .

Gli interessi di una singola categoria non possono mettere a rischio quelli comuni. Il Piano, utile al raggiungimento degli obiettivi prioritari dell’Agenda ONU 2030, ha un ruolo fondamentale per mitigare gli effetti delle alluvioni sempre più frequenti e attuare le Direttive comunitarie acque (Direttiva 2000/60/CE) e alluvioni (Direttiva 2007/60/CE).

Un’occasione di finanziamento da non perdere nell’ambito del PNRR, definito dal Presidente Mattarella all’assemblea dell’ANCI del 24 ottobre “un’occasione irripetibile e più importante del piano Marshall”.

Il Po tra Casale e Valenza  - 1955

Il Po tra Casale e Valenza  - 2021

Pioppeto sulla sponda del Tanaro


giovedì 5 ottobre 2023

VII EDIZIONE SAGRA DELLA ZUCCA - SAN CRISTOFORO 1 OTTOBRE 2023




 

Un grazie di cuore a tutti i partecipanti, che hanno reso

 

speciale anche questa edizione della Sagra della Zucca:

 

dagli Enti che hanno collaborato all'organizzazione agli

 

espositori che abbiamo ritrovato dopo ben quattro anni e

 

che hanno aderito con entusiasmo, dai musicisti che

 

hanno rallegrato la giornata agli Amici dell'Arte che hanno

 

confezionato la ormai mitica Zuccaccia e al fotografo Paolo

 

Rossi che ci ha fatto ammirare le Bellezze del territorio, da

 

Marco Castelli che ci ha raccontato la Fauna e la Flora

 

dell'Oltregiogo al pubblico che ha partecipato

 

numerosissimo

Un doveroso e sincero ringraziamento va soprattutto ai

 

nostri volontari che hanno reso possibile tutto ciò!