giovedì 27 novembre 2014

ZZZZZZZZZ..... ALLERTA RAPIDA: CHI DOVEVA DARLA?!


"L’infittirsi apparente dei disastri d’inondazione e di dissesto viene ormai correntemente imputato al cambiamento climatico e alla mancata difesa del suolo anche se in realtà il raffronto col passato in termini di intensità/durata e intensità/frequenza è tutt’altro che compiuto e chiaro. I concetti di probabilità e di rischio sono di difficile comprensione. Di certo si può solo dire che aree finora non soggette a rischio, lo sono diventate per la presenza di nuove occupazioni (le fiumare in Calabria); Sono queste ultime che con la loro presenza si mettono in una stuazione di pericolo da essi stessi creata.
La legge 183/89 di Difesa del suolo (una delle più serie, in principio, d’Europa) poi diventata Decreto legisl. 152/2006, divide i territori dei bacini in termini di rischio per i luoghi abitati soggetti a frana o piena: il territorio naturale o agricolo non compreso nell’abitato o nel protetto rientra nell’ambito della allerta rapida (early warning), a cura della difesa di protezione civile con misure di eveacuazione e di difesa e rifugio locale. Anche il disastro di Sarno si sarebbe chiuso con una decina di morti anziché 136 se la gente fosse rimasta nelle case, e meno ancora se queste non si fossero estese dentro i valloni dopo l’ultima piena che si ricordi.
Un altro concetto difficile è quello idrologico: che cosa succede alla goccia d’acqua dopo che ha toccato terra? Infiltrazione, intercettazione, scorrimento pellicolare, riempimento di depressioni, concentrazione, esondazioni. Ma i terreni ben coltivati non rallentano il deflusso!
Gli effetti diventano palesi a centinaia di km di distanza: “ma qui non stava piovendo” dicono i sindaci. In una alluvione cinquecentesca del Tevere di due metri la lapide ricordo di Alessanro VI a Sant’Eustachio recita stupita: “sereno aere”, a ciel sereno. La mera segnalazione Meteo della pioggia intensa non basta: deve arrivare in tempo là dove (qualche ora più tardi o anche meno) diventerà piena, correndo (transitando sull’alveo) a quache metro al secondo.
I terrazzamenti a vigneto sono la bellezza della Liguria ma quando vengono abbandonati senza prima ricostruire il pendio diventano pericolo tombale.
Da un certo momento l’idrologia diventa idraulica, i corsi d’acqua che in montagna (a causa delle pendenza) passano veloci trascinando senza problema sedimenti e detriti, diventano in pianura gonfi e pesanti, ma anche qui il concettto non è noto né immediato: qualche anno fa in Toscana si dava la colpa alla vegetazione e alla ghiaia per la piena di foce del Camaiore o del Magra, vittime al contrario di erosione della spiaggia."
4 agosto 2014
GC
 

ETERNIT: SIAMO STATI NOI!



 

PARCO EOLICO BOCCHETTA: PERCHE?

 
Sabato prossimo 29 novembre, h.11,30 al ristorante Pian dei Grilli di Fraconalto, la società proponente S.E.V.A. srl presenterà il progetto di parco eolico che intende realizzare sul Monte Poggio (in comune di Fraconalto).
Come Circolo, riteniamo necessario che la popolazione sia informata su questa ennesima opera che graverà sul nostro territorio. 
Vi invitiamo dunque a partecipare per far sentire la voce dei residenti e di coloro che hanno a cuore il nostro territorio e porre domande ai proponenti e ai sindaci dei comuni interessati dal progetto.

venerdì 21 novembre 2014

SALVIAMO I POCHI AMBIENTI FLUVIALI INTATTI!

Un filmato meraviglioso sulle Brook Trout negli USA, ormai ridotte al lumicino a causa della distruzione indiscriminata dei loro ambienti. Da vedere con tutta la famiglia (grazie Aldo per la segnalazione)!
Vai al filmato sulle Brook Trout.
 

giovedì 20 novembre 2014

"BOMBE D'ARIA"


ROMA – “Bombe d’aria” è il titolo dell’editoriale a firma di Marco Travaglio sulle pagine del Fatto Quotidiano di martedì 18 novembre.
Vai all'articolo.

"HO DETTO NO AL CEMENTO..."

"Nicoletta Faraldi, dirigente della Regione Liguria, trasferita tra un’alluvione e un’altra dal settore Valutazione impatto ambientale all’ufficio per la salute degli animali".

Vai all'articolo del Corriere.it

lunedì 17 novembre 2014

Articolo di Teresa Tacchella tratto dal numero odierno de

 "Il Fatto Quotidiano"

 



Nonostante questo anche questa volta faranno finta di non capire e continueranno sulla medesima strada. La distruzione del Territorio crea occupazione!

giovedì 13 novembre 2014

VERBALE DEL DIRETTIVO, 9 NOVEMBRE 2014

Auguri a Paola nella sua nuova funzione di Presidente del Circolo ed un grazie a Mario che passa il testimone dopo un anno impegnativo!

 

lunedì 10 novembre 2014



SEL: Lettera aperta al PD e alla Presidente della Provincia

"Fermiamo il Terzo Valico e diamo priorità alla messa in sicurezza del territorio alessandrino"


Il 13 ottobre un'altra drammatica alluvione ha colpito la nostra Provincia. Per fortuna questa volta senza vittime, ma con ingenti danni morali e soprattutto materiali. Questa volta le zone più colpite sono state quelle della Valle Scrivia. Frane, dissesti, sfollati, mancanza di acqua potabile sono problemi che si ripresenteranno, purtroppo, nei prossimi anni e bisognerà investire ogni risorsa disponibile per minimizzare i danni e - consapevoli che i fenomeni climatici andranno ad estremizzarsi e che la sicurezza assoluta non esiste - garantire ai cittadini e alle imprese una vita sicura. Occorre perciò agire per aumentare il più possibile il livello di sicurezza, dando segnali concreti di impegno per un apprezzabile miglioramento della situazione. Oggi per farlo però i fondi stanziati non sono lontanamente sufficienti.

Centinaia di milioni i danni stimati per la provincia di Alessandria. Mentre ammontano a 200 milioni i fondi stanziati dallo “Sblocca Italia” per il nuovo lotto del Terzo Valico.

Una cifra irrisoria per un opera che, completata, costerà oltre 6 miliardi (salvo prevedibili incrementi di spesa in corso d'opera) e che anche per chi la ritiene necessaria non è urgente perché i flussi di traffico previsti per i prossimi anni sono oggi assai minori rispetto alle previsioni e alle stime di 20 anni fa, quando questa e altre “grandi opere” furono concepite.

La posizione di SEL sul Terzo Valico è nota e non pretendiamo che il PD cambi la sua. Dopo quello che è successo, però, non si può nemmeno continuare a fare come se nulla fosse, in una realtà completamente cambiata, sia dal punto di vista finanziario - a partire dalla UE del “fiscal compact” che va a ricadere giù per li rami fino al più piccolo Comune - che delle necessità infrastrutturali. La ripresa economica va costruita con determinazione, ma al momento non è affatto vicina ed è ostacolata dai parametri di compatibilità europei.

La messa in sicurezza del territorio è quindi la vera grande opera pubblica non più rinviabile, e che può dare molto più lavoro a diverse imprese e categorie professionali, dal manovale fino all'ingegnere, dal geologo al climatologo, che non un'opera come il Terzo Valico che, come confermano anche i Sindacati ed il Collegio costruttori, non sta portando nessun beneficio occupazionale al nostro territorio. Ignorando la difficile situazione delle finanze pubbliche si illude il territorio e in particolare i piccoli Comuni del versante sud della Provincia pesantemente toccati dalle esondazioni e conseguenti dissesti e contemporaneamente interessati dai cantieri del Terzo Valico. Infatti a differenza di quello che accadde dopo la tragica alluvione del '94, di cui in questi giorni ricorre il ventesimo anniversario, quando arrivarono ingenti risorse che non furono peraltro spese nel modo migliore, con molte opere fatte male e più volte rimarginate - questa volta i soldi non ci sono e i territori alluvionati e danneggiati verranno semplicemente abbandonati al loro destino: le promesse tutte assieme di compensazioni, proseguimento del Terzo Valico e stanziamento di fondi adeguati per la messa in sicurezza del territorio, come se fossimo in un periodo di “vacche grasse”, sono promesse da marinaio, non credibili perché oggi non sostenibili finanziariamente. I soldi non ci sono e lo sanno tutti: si deve fare una scelta.

Per noi la scelta è chiara, va incrementato lo stanziamento regionale per la messa in sicurezza del territorio, dando l'impulso a opere utili come la manutenzione preventiva, la tutela delle aree golenali, le aree di laminazione dei fiumi e la realizzazione di un canale scolmatore per il Lovassina che interessa diversi comuni della Provincia.

Per questo proponiamo a politici, amministratori e cittadini, e alle forze sociali (in primo luogo le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori), al PD che guida la Provincia e alla Presidente  Rita Rossa, ma anche alle altre forze democratiche, di valutare e sostenere la possibilità di sospendere per il momento la realizzazione del Terzo Valico e stanziare fondi equivalenti alle opere non ancora appaltate, sicuramente quelli dello stanziamento di 200 mln recentemente deciso per il terzo lotto attualmente finanziato, a favore della ricostruzione e la messa in sicurezza del territorio. E di agire di conseguenza con un'azione concertata sul livello regionale e sul governo nazionale per ottenere tali cambiamenti.

La cura del territorio è l'opera più urgente anche perché in un territorio fortemente dissestato una grande opera come il Terzo Valico (su cui manteniamo la nostra contrarietà) non può essere realizzata in sicurezza e va solo ad aggravare la situazione di dissesto e ad aumentare i costi di realizzazione.

Senza farne una questione ideologica e senza pretendere che il PD cambi le sue posizioni, prendiamo atto che anche nei più fervidi sostenitori delle grandi opere si sta insinuando in queste ore una inedita “tempesta del dubbio” e pensiamo che sia giunto il momento di un ripensamento strategico e di ridefinire le priorità: prima viene la messa in sicurezza del territorio, la progettazione delle opere necessarie, il ripristino per quanto possibile delle naturali aree di esondazione dei fiumi. Le opere di base che creano sicurezza, un ambiente migliore e occupazione, e che consentiranno poi di progettare  su basi solide le infrastrutture del futuro per i commerci e gli spostamenti delle persone.

Sinistra Ecologia Libertà – Federazione Provinciale di Alessandria

Alessandria, 31 ottobre 2014
"Approfondimenti tecnici sui temi della sicurezza idraulica del territorio a cura dell'AIPO e del Comune di Alessandria".

Contributo del  prof. Luigi D'Alpaos



Comune e attualità alessandrina

Ribadisco: per mettere in sicurezza la città bisognava spendere in altro modo.

.. Quale criterio adottare nella difesa dalle piene?..
Nella difesa dalle piene di un corso d’acqua si possono adottare due diversi criteri, entrambi finalizzati a ridurre, se non ad annullare, i fenomeni di esondazione in occasione degli eventi più gravosi.
Il primo criterio, che ancor oggi è quello generalmente perseguito, consiste nell’adeguare le sezioni di un corso d’acqua alle massime portate prevedibili, incrementandone la capacità di portata, in modo da contenere il colmo delle piene rispetto alle quali ci si vuole cautelare. L’obiettivo si può raggiungere sia ricalibrando le sezioni per far defluire, a parità di livello idrometrico, maggiori portate sia più semplicemente  innalzando le quote delle difese arginali, fino a renderle in grado di contenere le massime portate previste. Entrambi i provvedimenti non sono esenti da critiche. Riposizionando in quota le arginature si corre il rischio di accrescere il pericolo di cedimenti di tali strutture, che sono spesso il risultato di interventi successivi realizzati nell’arco di molti anni, adottando criteri e utilizzando materiali  non sempre adeguati rispetto alle esigenze di stabilità che queste  opere di difesa dovrebbero garantire in fase di piena.
La seconda soluzione, che prevede di ricalibrare le sezioni ampliandole, non necessariamente garantisce il mantenimento nel tempo della loro efficienza idraulica. Questa infatti dipende dalla stabilità dinamica delle sezioni rispetto ai fenomeni di erosione e di deposito che le possono interessare e che potrebbero farle evolvere in senso negativo, riportandole fatalmente verso la configurazione geometrica iniziale.
Tanto più l’evoluzione morfologica in senso negativo richiamata è da temere per corsi d’acqua che hanno sostanzialmente un regime torrentizio, come è nella maggior parte dei nostri fiumi, caratterizzati da fortissime differenze fra le portate di piena e le cosiddette “portate dominanti”, responsabili della modellazione  delle sezioni e del mantenimento nel tempo delle loro caratteristiche geometriche negli alvei naturali in presenza di importanti fenomeni di interazione fra la corrente e gli alvei mobili che la contengono.   
Il secondo criterio perseguibile per difendersi dalle alluvioni, da tempo suggerito ma nel nostro Paese ancora poco praticato dagli enti deputati alla difesa idraulica del territorio, è quello di trattenere temporaneamente i colmi di piena entro invasi appositamente predisposti, per rilasciare successivamente i volumi intercettati sulla coda della piena, quando le portate scaricate possono essere contenute senza pericoli entro gli alvei e fatte defluire con regolarità verso valle.
Se con il primo indirizzo di difesa si adeguano gli alvei alle portate, con il secondo si persegue l’obiettivo opposto: si adeguano le portate massime in arrivo  da monte alla capacità di portata degli alvei di valle.     
Dopo la  disastrosa alluvione del 4-5 novembre 1966, che colpì molte regioni italiane e in modo particolare la Toscana e il Veneto, fu insediata dal governo italiano una Commissione, che prese il nome dal suo autorevole presidente Giulio De Marchi, per far luce sull’evento e per individuare gli interventi necessari per evitare il ripetersi di una simile tragedia. La Commissione De Marchi nel trasmettere al Parlamento italiano i suoi atti  suggerì con determinazione la necessità di modificare gli indirizzi di difesa idraulica fino ad allora perseguiti orientando preferibilmente le iniziative verso  il criterio di moderare i colmi di piena in arrivo da monte mediante loro trattenuta temporanea. Il criterio fu  ritenuto preferibile per molteplici motivi. Esso permetteva di contenere i fenomeni alluvionali, di ridurre il rischio idraulico nei territori di pianura attraversati dai fiumi e di limitare i fenomeni di cedimento delle difese arginali, sempre possibili e adlle conseguenze quanto mai temibili.
Il criterio suggerito dalla Commissione non era una novità assoluta, essendo stato nel concreto già praticato dal Magistrato alle Acque negli anni venti del secolo scorso, realizzando il famoso bacino di laminazione delle piene di Montebello Vicentino (5.106 m3 di invaso), che negli anni successivi e fino ai nostri giorni fu decisivo per la difesa dalle alluvioni della pianura veneta attraversata dall’Agno-Guà.
Nonostante gli esiti positivi del provvedimento, purtroppo questo criterio di difesa non ebbe seguito e di fatto fu abbandonato. Miglior esito non ebbero i suggerimenti della Commissione De Marchi, troppo presto dimenticati da responsabili tecnici forse  troppo disinvolti, flessibili più di un giunco quando è preso dal vento rispetto alle esigenze della politica e sicuramente non all’altezza degli autorevoli componenti di quella Commissione. Eppure negli Atti della Commissione erano  contenute  precise indicazioni e puntuali  valutazioni sui benefici che nel campo della sicurezza idraulica sarebbero potuti derivare a molti dei nostri fiumi, soprattutto a quelli veneti.
Per il Veneto la colpevole incapacità di decidere dei responsabili tecnici, non particolarmente sensibili ai doveri della loro carica, fu evidente a tutti nel 2010, quando nel bacino del Bacchiglione molti dovettero sperimentare nuovamente sulla propria pelle cosa vuol dire alluvione. Quei danni e quelle vittime probabilmente non ci sarebbero stati, se si fosse data concreta attuazione alle opere indicate negli Atti della Commissione De Marchi.
Dopo questa ennesima tragedia, la decisa presa di posizione del Governatore della Regione Veneto ha dato finalmente avvio nel bacino del Bacchiglione e nei bacini di altri fiumi veneti alle opere per la laminazione delle piene da molti reclamate ma da altri contrastate nel nome di una visione localistica e poco lungimirante dei problemi. La speranza è che si continui nella direzione intrapresa, la sola che potrebbe permettere di raggiungere in tempi ragionevoli gli obiettivi che sono da molti anni, troppi, attesi.
Alla luce di queste brevi considerazioni, quanto si è fatto finora per il Tanaro, in particolare per la difesa dalle piene di Alessandria, è forse meritevole di  qualche riflessione critica.
Stranamente, nonostante non mancassero indicazioni favorevoli alla realizzazione di invasi destinati alla moderazione dei colmi di piena in arrivo da monte, si è preferito di continuare seguendo una politica antica, ispirata a criteri i cui limiti sono più che evidenti. Tanto più se si considera che  gli interventi al momento attuati non sembrano affatto essere in grado di fronteggiare una piena come fu quella del novembre 1994, straordinaria ma pur sempre ripetibile.
Sui provvedimenti adottati a difesa di Alessandria, con rialzi arginali, ampliamenti di sezione, abbattimento di ponti (fra i quali il famoso Ponte della Cittadella), i problemi sopra ricordati si calano in pieno: sul lungo periodo non è escluso che essi siano parzialmente vanificati  e che si ricada negli esiti negativi richiamati e già duramente sperimentati in un passato nemmeno troppo lontano.
Si tratta di provvedimenti ovviamente utili, ma non completamente risolutivi e bisognevoli forse di essere completati con la realizzazione a monte di Alessandria di invasi per la trattenuta temporanea dei colmi di piena in arrivo, in modo da ridurre  le portate massime a limiti di effettiva sicurezza idraulica per la città.
Mi sia permesso per un momento rituffarmi in fatti ormai lontani: le indagini condotte immediatamente dopo la drammatica piena del novembre 1994 per incarico della Procura della Repubblica. Ho avuto l’occasione di conoscere molte persone e di apprezzarne la  positività, lasciandomi ricordi  che a distanza di anni restano sempre vivi dentro di me. Ho avvertito, a dire il vero, anche la possibilità di verificare quanto siano forti le pressioni improprie per orientare le soluzioni in un campo che avrebbe solo e soltanto bisogno di azioni guidate dalla scienza, quella vera, non quella “amica”, che si accompagna il più delle volte a esiti infausti.
Dal punto di vista scientifico quella offertami dal Procuratore Dott. Brusco fu l’occasione  di dimostrare, mediante l’applicazione di una modellazione matematica idraulica avanzata, allora all’avanguardia ma tutt’ora efficacie ed efficiente, come si potesse interpretare con una fedele rappresentazione della realtà un fenomeno alluvionale complesso, quale fu quello che aveva colpito i Tanaro e il territorio Alessandrino. Su specifica richiesta del Procuratore ebbi fra l’altro modo di analizzare i benefici che sarebbero potuti derivare in termini di sicurezza idraulica dalla realizzazione dei diversi provvedimenti da più parte proposti. Fu così che ebbi modo di occuparmi anche delle casse di espansione indicate come possibili interventi dall’Autorità di Bacino del Po nello Studio SP1. Si trattava di interventi che interessavano aree golenali all’altezza di Asti, di fronte a Felizzano e subito dopo la confluenza del Belbo, associati a provvedimenti di ricalibratura locale dell’alveo e di riposizionamento in quota di alcuni tratti arginali. 
Come piena di riferimento nelle indagini promosse dalla Procura della Repubblica fu adottata la piena del novembre 1994, il cui colmo in arrivo ad Alessandria, con riscontri probanti in termini di quota idrometrica raggiunta lungo tutto il tratto cittadino, fu stimato di circa 4500 m3/s.
I risultati ottenuti furono estremamente incoraggianti, poiché quella piena, sicuramente straordinaria, vedeva il suo colmo ridotto nella parte in attraversamento alla città  a soli 3150 m3/s, più che tollerabili per l’alveo del Tanaro e rispettosi anche del limite di 4000 m3/s, allora indicato come non superabile verso Montecastello. Tanto più il risultato fu interessante se i considera che, con una ottimizzazione nell’uso dei volumi resi disponibili dalle casse di espansione, sarebbe stato  possibile fare ancora meglio, riducendo ulteriormente il colmo di quella piena. La moderazione delle portate massime  in attraversamento alla città riduceva fra l’altro il rischi idraulico per eventuali, sempre possibili, cedimenti arginali, essendo le difese sicuramente meno cimentate rispetto a soluzioni che contemplavano la necessità di garantire il passaggio di portate di piena più sostenute. Inoltre sarebbe stato possibile garantire per le sezioni dell’alveo maggiore stabilità idrodinamica, evitando quei fenomeni di deposito e di ostruzione che trovò la piena del novembre 1994. Aspetti questi ultimi rilevanti in tempi per i quali la parola manutenzione degli alvei sembra non esistere più e i relativi capitoli di spesa degli enti competenti sembrano essere desolatamente vuoti.     
Ma la soluzione delle casse di espansione, lineare ed efficacie nello stesso tempo e tutto sommato semplice da realizzare, venne ritenuta non praticabile da quanti allora gestivano le decisioni e da coloro (troppi) che li condizionavano per favorire i propri fini, non sempre commendevoli.
La realizzazione degli invasi di trattenuta dei colmi di piena fu così  rimandata a tempi migliori, adducendo in qualche caso motivazioni tecnicamente infondate.
Furono conseguentemente percorse strade diverse, ma, per quanto si sente dire, non del tutto tranquillizzanti, se ad ogni piena del fiume restano vivi l’allarme e le preoccupazioni della gente.
Vale la pena ricordare, in conclusione, i benefici che sarebbero potuti derivare dalla realizzazione delle casse di espansione anche con riferimento al destino dei numerosi attraversamenti cittadini, subito, a ragione o torto, chiamati in causa come massimi responsabili dei problemi e messi nel mirino dei soliti noti, che sono sempre in agguato.
Di tali ponti, vittime del furore da abbattimento di alcuni, l’unico da demolire per davvero era il ponte ferroviario, peraltro sostituito da una struttura che non può non destare qualche perplessità, se si guarda agli aspetti idraulici. Gli altri ponti, anche sulla base delle valutazioni teoriche condotte in allora per conto della Procura della Repubblica con riferimento ai loro effetti sugli stati idrometrici degli eventi estremi, potevano forse rimanere in posto e essere salvati, adottando interventi decisamente praticabili e meno drastici. Si pensi in modo particolare al Ponte della Cittadella, che fra l’altro aveva interesse storico e meritava di essere salvato senza pregiudicare la sicurezza idraulica della città.
Al riguardo di questo ponte sembra quanto mai probabile che sul problema pressioni improprie dei portatori di interesse e della politica, incapacità della classe tecnica di far valere la propria autonomia di giudizio abbiano contato più dell’idraulica!
Non sarebbe quindi inopportuno, per ragioni di trasparenza e di vera conoscenza  che fossero resi finalmente pubblici e messi nella disponibilità di quanti fossero interessati i documenti tecnici che hanno portato a una decisione così drastica e ancora molto discussa. Non ultimi i risultati del modello fisico realizzato dall’AIPO.
Non servirà certamente a risuscitare il Ponte della Cittadella. Potrebbe però evitare nel futuro che eventuali repliche di provvedimenti analoghi fossero attuati non, come è avvenuto nel caso specifico, qualche giorno prima del 15 agosto ma proprio nella mattina di un caldo ferragosto. Magari  reclamizzando l’avvenimento, perché possa essere chiaro a tutti che il piccone dell’ “ingiustizia idraulica” prima o dopo può sempre arrivare e colpire.

Padova, 6 novembre 2014