giovedì 29 ottobre 2020

 


DOPO ALLUVIONE

Un intervento del CIRF Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale di Mestre



“Spazio ai fiumi, le opere non ci salvano”

Clima. Dopo gli eventi estremi di ottobre, il Piemonte ha chiesto 1 miliardo per opere e interventi sui bacini dei i fiumi per “riparare” il dissesto idrogeologico

Luca Martinelli

29.10.2020   ilmanifesto.it

Giovedì 22 ottobre il Consiglio dei ministri ha deliberato la dichiarazione dello stato di emergenza, per un periodo di 12 mesi, nei territori delle province di Biella, Cuneo, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli. Tutto il Piemonte, in pratica, tranne Torino, Asti e Alessandria. È una conseguenza degli eventi meteorologici estremi ed eccezionali che si sono verificati nei giorni 2 e 3 ottobre 2020, e che hanno interessato in particolare i bacini dei fiume Toce, Sesia e Tanaro. È passato quasi un mese, ma le immagini di quei giorni restituiscono la portata del disastro: il centro storico di Garessio (Cn) invaso dall’acqua del Tanaro e dal fango, la statale del Col di Tenda collassata, tra Italia e Francia, i treni fermi tra Torino e Milano per l’esondazione del Sesia.

Il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, ha chiesto immediatamente un miliardo di euro. Qualche giorno dopo ha ribadito: «Quando ho chiesto un miliardo di euro qualcuno a Roma ha sorriso, ma non si sorride di fronte ai danni che reclama il Piemonte. Il Piemonte oggi ha bisogno dello Stato e se scriviamo un miliardo è perché siamo certi dell’entità dei danni, perché facciamo le cose seriamente. Il dossier contiene interventi per 300 milioni di euro per le opere di somma urgenza, altri 300 milioni per interventi strutturali e una parte rilevante da destinare ai privati, ovvero aziende e famiglie che dobbiamo aiutare per ripartire dopo il disastro che hanno subito». Parla di opere e interventi, Cirio, e lo stesso ha fatto il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, provocando l’immediata reazione del Cirf, il Centro italiano per la riqualificazione fluviale (www.cirf.org), un’associazione tecnico-scientifica senza fini di lucro fondata nel luglio 1999 per alimentare il dibattito sulla riqualificazione degli ecosistemi fluviali e promuovere criteri di maggiore sostenibilità nella gestione dei corsi d’acqua: «Dissesto idrogeologico: le opere non ci salveranno, dobbiamo restituire spazio ai fiumi».

Andrea Goltara, direttore del Cirf, racconta all’ExtraTerrestre i motivi di questo intervento: «Costa da quando è diventato ministro punta tutto e in modo esclusivo sulla spesa in opere di difesa, e lo ha ribadito anche nell’intervento alla Camera sul dissesto, dopo gli eventi che hanno interessato Piemonte e Liguria a inizio ottobre. Nessuno nega che se c’è un’emergenza in un contesto urbano debba essere ricostruita un’opera di difesa, ma il problema è che in Italia c’è solo quello: manca un approccio più ampio e integrato, e non c’è traccia di soluzioni che puntino a restituire spazio ai fiumi nella Strategia del governo. Pensare che tutto si risolva nel costruire più opere, e più velocemente, e spendendo più soldi, è una lettura che speravamo di non dover più vedere».

Questo è vero, in particolare, in un Paese che vede il 91% dei Comuni interessato da problematicità idrogeologiche, con l’80% dei territori a rischio, come spiegano i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).

Perché, a vostro avviso, manca una Strategia?

Servirebbe una pianificazione di area vasta, mentre avverto spinte per dare i soldi ai Comuni. Ma il Comune non può valutare compiutamente gli effetti di un intervento, in particolare quel che accadrà a valle, e rischia solo di scaricare il rischio: gestire un fiume non è come manutenere una strada, devi capire che cosa ha senso fare a monte, a valle. Per proteggere una città dagli effetti devastanti delle piene, ad esempio, si può scegliere di agire localmente, costruendo un argine, oppure di guardare a monte, ripristinando aree di laminazione diffusa. Questo tipo di intervento può programmarlo un’Autorità di Bacino, adeguandosi alla normativa europea, ma nella pratica questi soggetti si stanno esautorando: sono i commissari, le Regioni, a decidere che cosa fare, e questo è preoccupante. Le Regioni spingono per le opere, in un’ottica miope, ma ci si aspetterebbe dal ministro dell’Ambiente un intervento volto a compensare questa visione, sottolineando che si deve andare in direzione diversa. L’Europa ci dà una mano: anche nell’utilizzo dei fondi del Recovery Fund ci sono dei vincoli, dato che il 37 per cento dovrà garantire tutela della biodiversità e capacità di adattamento agli effetti del cambiamento climatico. I fondi della transizione verde applicati alla gestione del dissesto non possono andare secondo il Cirf solo a costruire opere, a difendere. Serve pianificare come recuperare spazio a favore dei corsi d’acqua.

Quali sono i limiti delle grandi opere, in una fase in cui il cambiamento climatico già provoca un aumento degli eventi estremi?

Le opere vanno mantenute. Chi costruisce sa che si sta accollando costi sempre crescenti di manutenzione e di rifacimento futuro. Oggi in Italia esistono estesissimi sistemi arginali con problemi di tenuta, perché spesso non ci sono abbastanza risorse per la manutenzione. Opere fatte, rifatte e rifatte. Perché se il tuo obiettivo è solo quello di ingessare il fiume, di bloccare la dinamica del corso d’acqua, prima o poi arriva l’evento straordinario che ti crea problemi. Adesso, poi, anche gli eventi diventano più gravosi (secondo l’Arpa Piemonte, i valori registrati durante gli eventi del 2 e 3 ottobre nel verbano «rappresentano a livello di stazione più del 50% della precipitazione media annuale», mentre tutto il bacino del Po ha ricevuto in 4 giorni il 15% delle precipitazioni annuali, ndr), il sistema è sottoposto a uno stress in crescita. La risposta non possono essere opere sempre più grandi, serve fare un passo indietro. Questo problema lo vivono anche le coste, e in alcuni casi si è deciso di arretrare le opere di difesa, lasciando che il mare si riprenda territori oggi tenuti artificialmente all’asciutto con grande dispendio di energia elettrica per il funzionamento delle idrovore. Serve un ragionamento di lungo periodo: non ha senso costruire opere che costano più dei beni che devono difendere, tutto questo senza migliorare lo stato ecologico del corso d’acqua, un obbligo che abbiamo a seguito di Direttive europee come la numero 60 del 2000.

Prima ha descritto l’importanza delle aree di laminazione diffusa. La politica parla spesso di casse di espansione dei fiumi. La differenza tra i due interventi è, forse, un elemento esemplare.

Quando parliamo di cassa di espansione in generale facciamo riferimento ad un volume circondato da un argine, è un’opera di cemento che rimane vuota tutto il tempo tranne quando c’è l’evento. È un’opera idraulica. Recuperare laminazione diffusa significa invece ripristinare le condizioni per cui il fiume, in determinate condizioni, possa liberamente espandersi, nella piana inondabile nei pressi del fiume. Può prevedere lo spostamento degli argini, o magari di non farli proprio. Ripristina quello che definiamo effetto diffuso di trattenimento. In certi casi può essere efficace anche evitare di tagliare gli alberi: i boschi ripari, rallentando le acque, possono smorzare i picchi di piena e questo riguarda non solo l’asta principale del fiume, ma in particolare tutto il reticolo minore. Dovrebbero essere promossi anche interventi di agricoltura conservativa, per il ripristino del carbonio organico del suolo e per far sì che il suolo faccia da spugna.

https://ilmanifesto.it/spazio-ai-fiumi-le-opere-non-ci-salvano/

https://www.cirf.org/it/dissesto-idrogeologico-dobbiamo-restituire-spazio-ai-fiumi/

sabato 17 ottobre 2020

LE PREOCCUPAZIONI DEI GEOLOGI SULLA MODIFICA DELLA LEGGE REGIONALE SULL'USO DEL SUOLO

 


Edificio compromesso dall’erosione di sponda di un affluente del Vermenagna a Limone Piemonte

Foto tratta da https://www.geologipiemonte.it/l-ordine/attivit-del-consiglio/articolo/evento-alluvionale-2-ottobre-2020-in-piemonte

 

Nel Paese dell’abusivismo e dei condoni solo gli eventi eccezionali e luttuosi sono stati in grado di spingere la politica ad operare attivamente per la tutela del territorio e da più di mezzo secolo la normativa più che a una vera visione strategica ha risposto alle varie emergenze che abbiamo vissuto.

Facciamo alcuni esempi:

Dopo l’alluvione di Firenze del novembre 1966 lo Stato affida alla Commissione De Marchi il compito di studiare la sistemazione idraulica e la difesa del suolo in Italia. I lavori terminano nel 1970 ma nel Belpaese la pianificazione territoriale (il controllo delle trasformazioni di area vasta del territorio) non ha mai avuto fortuna e la legge sulla Difesa del suolo 183 (che istituisce le Autorità di Bacino) viene approvata ben 19 anni dopo, nel 1989.

Dopo le alluvioni di Tanaro e Po del novembre 1994, nel gennaio 1995 con il Piano Stralcio PS45, l’Autorità di Bacino del Po pianifica gli interventi per ripristinare l’assetto idraulico e le aree di esondazione per poi passare (dicembre 1997) all’adozione del Piano Stralcio delle Fasce Fluviali che vincola le zone soggette a inondazione.

Dopo gli eventi di Sarno del maggio 1998 la legge 267 pone il termine del 30 giugno 1999 per i piani stralcio di bacino (PAI) e la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico con relativo vincolo di inedificabilità.

Dopo gli eventi di Soverato di ottobre e novembre 2000 la legge 365 pone nuovamente un “termine perentorio” del 30 aprile 2001 per la redazione dei piani.

Tuttavia gli enti locali, Regioni comprese, anche se ne facevano parte, non hanno dimostrato “entusiasmo” nei confronti di un ente sovraordinato come l’Autorità di Bacino. Così dopo varie picconate la Difesa del suolo della 183 è finita indebolita e compressa in un capitolo del Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”.

Spesso in questo Paese, i vincoli sul territorio riconosciuti indispensabili dopo i dissesti diventano col passare del tempo fastidiosi “lacci e lacciuoli”.

La legge urbanistica regionale del Piemonte, la 56, che Giovanni Astengo chiamò “Tutela e uso del suolo”, è stata modificata dal 1977 ad oggi quarantadue volte. 

Riportiamo di seguito il comunicato dell’Ordine dei Geologi del Piemonte in merito alle ultime modifiche.

 COMUNICATO STAMPA

Evento alluvionale 2 ottobre 2020 in Piemonte: Geologi ed Enti insieme perché non si ripetano disastri

L’Ordine Regionale dei Geologi del Piemonte, nell’esprimere totale solidarietà ed estrema vicinanza alla popolazione colpita dai recentissimi eventi alluvionali che hanno interessato tutto il territorio regionale, non può che manifestare ancora una volta la forte preoccupazione per come continuano ad essere gestite concretamente le politiche territoriali nell’ambito dell’assetto geoidrologico.

Da parte di chi è per definizione in prima fila, sempre, per la tutela e salvaguardia dell’integrità geologica del territorio è diventato ormai inammissibile durante gli eventi alluvionali dover assistere ancora ad immagini di danni connessi, ad esempio, a crolli di edifici, talora anche recenti, situati a ridosso di sponde e di torrenti ovvero ad esondazioni in corrispondenza di ponti già interessati da analoghi eventi. Ed il quadro appare ancor più sconfortante se si considerano le ingenti risorse investite dalla Regione Piemonte dagli anni 2000 per fornire tutti i comuni di adeguati studi geologici finalizzati a indirizzare scelte urbanistiche che preservassero l’equilibrio geoidrologico da continui disastri, dei quali si fatica a tenere aggiornata la contabilità (solo dal 2000 la sequenza è stata 2000, 2002, 2008, 2009, 2011, 2012, 2013, 2014, 2016, 2019 nelle varie zone del territorio piemontese).

Al tempo stesso e di fronte a tali scenari sempre più frequenti, fa letteralmente rabbrividire il solo immaginare cosa potrebbe accadere in un prossimo futuro, quando saranno a regime le recenti normative regionali che consentono, se non addirittura incentivano, in nome della tanto decantata semplificazione, interventi che vanno in direzione opposta a quella che dovrebbe garantire la salvaguardia dei territori e la sicurezza delle popolazioni. Ci si riferisce ad esempio al recente decreto “Riparti Piemonte” (L.R. 13/2020 del 29/5/2020) laddove, accanto a misure apprezzabili finalizzate alla riduzione dei tempi di approvazione dei PRGC, propone misure oggettivamente pericolose, quali l’art. 75, che consente di fatto una riduzione delle fasce di rispetto da fiumi e torrenti o gli artt. 60, 62 e 63, che inficiano l’efficacia degli studi geologici di corredo alla pianificazione urbanistica. Da una parte quindi si interviene, come è corretto, per tamponare le emergenze, dall’altra si (ri)creano le condizioni perché queste emergenze si ripetano nel tempo.

In questa situazione non si può che ribadire, una volta ancora, la piena disponibilità e collaborazione dell’Ordine regionale dei Geologi del Piemonte ad un confronto costante e (si è sicuri) costruttivo con tutti gli Enti preposti, finalizzato a concordare strumenti giuridici adeguati, propedeutici a (nuove) politiche territoriali anche di “decostruzione più consone alla mitigazione del rischio, che consentano un equilibrato sviluppo urbanistico e una corretta tutela del suolo, preservando l’equilibrio idrogeologico del territorio.

 Il Consiglio dell’Ordine Regionale dei Geologi del Piemonte

Torino, 5 ottobre 2020

domenica 11 ottobre 2020

È IL MOMENTO DI AGIRE!

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#digitalaction #extinctionribellion #fridaysforfutures

sabato 10 ottobre 2020

Comunicato stampa sui recenti eventi alluvionali

 

 

 

Torino, 7 ottobre 2020                                                         Comunicato stampa

 

 

Piemonte nuovamente sott’acqua
Si utilizzino (bene!) i fondi europei per mettere in sicurezza il territorio

A distanza di meno di un anno dai precedenti eventi alluvionali, il Piemonte è nuovamente costretto a contare danni e vittime. Prevenzione, messa in sicurezza e rispetto del territorio sono le sole vie per un futuro in cui gli effetti del cambiamento climatico possano essere mitigati

 

Nel weekend scorso l’intero Piemonte, con punte drammatiche nelle province di Cuneo e di Vercelli, ed ampie zone della Liguria sono stati colpiti da eventi atmosferici che di eccezionale ormai non hanno più nulla. In poche ore è caduta una quantità d’acqua localmente superiore ai 600 mm, causando improvvise piene e smottamenti.

Nel momento in cui scriviamo i morti accertati sono 9, oltre cento i Comuni che hanno subito danni, una decina i ponti crollati sotto l’effetto di piene eccessive, altrettante le strade interrotte da smottamenti e cedimenti strutturali, i danni quantificati in una prima stima ammonterebbero ad oltre 300 milioni di euro.

 

La violenza e la quantità delle precipitazioni aventi modalità sempre più simili a quelle monsoniche e dettate dai cambiamenti climatici sempre più evidenti sulle nostre montagne, hanno colpito duramente il nord ovest di una Penisola vittima d’abbandono, di incuria, ma soprattutto di una cementificazione selvaggia.

 

“Il nostro territorio – dichiara Giorgio Prino, Presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta – per la sua conformazione fisica e geografica è estremamente delicato. La cementificazione selvaggia, la mancanza di una pianificazione, la scarsa manutenzione hanno portato ai risultati sotto gli occhi di tutti. Il nostro dossier Città Clima segnala come negli ultimi 10 anni si siano registrati 95 eventi estremi fra Piemonte, Liguria e Val d’Aosta (894 in tutta Italia). È imprescindibile fare un passo avanti deciso. Si approvi una norma regionale per il consumo di suolo zero, e si proceda ad una immediata messa in sicurezza del territorio. Le risorse europee legate al recovery fund devono essere utilizzate sulla doppia via del restauro ambientale e della prevenzione, devono essere strumento per una messa in sicurezza dell’intero Paese, e non possono essere finanziamento di grandi opere dalla dubbia utilità e dal forte impatto ambientale”.

 

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Ufficio stampa Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta: 011.2215851 – 339.2272687

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martedì 6 ottobre 2020

IL FIUME AFFITTA, MA NON VENDE

 



Basso corso dell’Orba – L’erosione del fondo dell’alveo scopre e incide gli antichi strati di sedimenti fini giallastri compatti rimasti privi dello strato di ghiaia che li copriva.


I recenti eventi alluvionali in Francia, in Piemonte e in Liguria sono stati dettagliatamente commentati su La Stampa di domenica 4 ottobre con un lungo articolo del geologo Mario Tozzi ripreso nell’editoriale del direttore Giannini.

Non si parla di ghiaia, né di “pulizia” dei fiumi, ma di abusi e colate di cemento, di come si è costruito troppo, male e dove non si sarebbe dovuto, del metro quadro di suolo perso in Italia ogni secondo sotto cemento e asfalto, e del fiume che si riprende nel momento della piena lo spazio che gli è stato sottratto. Si potrebbe anche ricordare la legge sul contenimento del consumo di suolo ferma da molti anni per vari veti incrociati.

Ma l’esperienza ci insegna che a distanza di pochi giorni dagli eventi, nei media, alle dichiarazioni di tecnici lungimiranti seguono molto spesso interventi che sembrano ricercare un capro espiatorio in grado di alleviare le responsabilità di chi, dagli anni del boom economico ad oggi, ha gestito gli usi e gli abusi del territorio. “Il fiume affitta, ma non vende” dice un vecchio proverbio toscano e ogni corso d’acqua, anche il più piccolo e apparentemente insignificante può riprendersi il maltolto.

Fin tanto che a scuola non si tornerà a insegnare la geografia (e una sua parte, la geomorfologia, anche con parole semplici) parlando di come la superficie terrestre viene modellata dai cosiddetti agenti morfogenetici (il mare, la gravità, le acque correnti, i ghiacciai, ecc.), e quindi dei processi di costruzione delle pianure e delle spiagge e di erosione delle montagne, ovvero di come funziona un fiume, ogni ignoranza sarà ammessa e sfruttata.

Il fiume prende in carico materiale solido (sedimenti) proveniente dal disfacimento delle montagne e lo trasporta a valle, nelle pianure, fino al mare, lavorando come un nastro trasportatore. Le sue caratteristiche dipendono essenzialmente dal regime delle portate liquide (acqua) e dal regime delle portate solide (sedimenti). Al variare di questi elementi si avranno variazioni della morfologia dell’alveo in seguito all’innescarsi di processi erosivi o deposizionali, come ben schematizzato dalla cosiddetta bilancia di Lane.

In seguito ad ogni evento alluvionale intenso, da più parti emergono richieste di “pulizia” degli alvei, intesa come rimozione di sedimenti dagli stessi.

Questi interventi, benché in specifici contesti siano talvolta necessari, hanno effetti che si ripartiscono lungo ampi tratti del sistema fluviale e che, risultando nell’abbassamento dell’alveo, comportano uno squilibrio che innesca processi erosivi a monte ed a valle dell’intervento. Si verifica dunque un assottigliamento del materasso alluvionale, ovvero di quel livello di sedimenti che costituisce il fondo dell’alveo, sul quale molto spesso poggiano ponti e opere di difesa spondale, con conseguente possibile collasso delle opere antropiche. Le alluvioni piemontesi del 1994 e del 2000 offrono un vasto campionario in merito a queste problematiche e ad oggi molti corsi d’acqua mostrano ponti con i piloni scalzati o difese spondali sospese e in parte collassate.

Le traverse a valle dei ponti o i sarcofagi che attorniano i piloni degli stessi sono strutture realizzate proprio per difenderli dall’erosione di fondo.

Le conseguenze di generalizzati interventi di rimozione dei sedimenti sono tanto note in letteratura scientifica quanto ignorate in seguito alle piene. Oltre ad intense erosioni, la riduzione della disponibilità sedimentaria, ovvero l’impoverimento del nastro trasportatore, comporta l’abbassamento delle falde nelle pianure, la risalita del cuneo salino nelle zone costiere e l’erosione del litorale, in seguito al mancato apporto di sedimenti fluviali. L’abbassamento dell’alveo comporta anche una minore capacità di laminazione delle piene, il che si traduce in una maggiore capacità erosiva ed in una maggiore portata che arriva a valle a parità di evento.

Serie sono anche conseguenze ecologiche di questo tipo di interventi, che comportando generalmente la riprofilatura dell’alveo portano alla distruzione degli habitat acquatici e ripariali, con conseguente danno alla componente biotica del sistema, essenziale per l’autodepurazione del fiume. Uno dei tanti e fondamentali servizi ecosistemici che i corsi d’acqua ci offrono.

Anche la vegetazione è spesso indicata come causa dei disastri. Occorre innanzitutto distinguere tra vegetazione spondale e materiale legnoso portato dalle piene. La prima svolge spesso importanti funzioni di mitigazione degli effetti indotti dalle piene; la seconda può costituire un problema in corrispondenza delle opere di attraversamento (in particolare in certi contesti) e, come già sostenuto in passato (https://circololegambientevallemme.blogspot.com/2019/11/corsi-dacqua-e-cementificazione-un.html) può essere oggetto di interventi di rimozione o di riduzione della pezzatura.

Per quanto riguarda il torrente Orba, oggi vari documenti tecnici documentano l’abbassamento dell’ alveo soprattutto nel tratto a valle di Basaluzzo, ma in passato fu solo l’Ente Parco del Po e dell’Orba ad evidenziare questa tendenza del torrente in forza dello studio idraulico dell’ Ing. Giuliano Cannata concluso nel 1992. Riportiamo un articolo del 15 ottobre 1995.

Nella speranza (pochissima) che non vengano invocate radicali e dannose “pulizie” espiatorie rivediamo questo breve video che spiega in maniera semplice e immediata cosa accade al territorio quando si sottrae spazio al fiume e quando si altera il suo equilibrio con interventi di regimazione e di rimozione dei sedimenti.  https://m.youtube.com/watch?v=21YAP8RF_sw


 

La bilancia di Lane; modello concettuale delle risposte di un alveo fluviale ad alterazioni dell’equilibrio dinamico (fonte: Manuale IDRAIM - Rinaldi et al., 2016).