sabato 13 gennaio 2018

TRASPORTI, GRANDI OPERE E SPESE PUBBLICHE SENZA RITORNO

Recensione del libro di Marco Ponti *     SOLA ANDATA



Professor Ponti, Lei è autore del libro Sola andata. Trasporti, grandi opere e spese pubbliche senza ritorno, pubblicato per i tipi di Università Bocconi: i megaprogetti sono intrinsecamente fallimentari?
No, ce ne sono alcuni ottimi, altri con risultati incerti. Ma in generale le analisi ex-post dei risultati di queste opere non lasciano molti dubbi. La più nota di queste analisi è stata fatta proprio dall’autore della prefazione del libro, prof. Rothengatter (“Megaprojects”).
Nella grande maggioranza dei casi, a livello mondiale, i risultati hanno visto non solo costi molto più alti dei preventivi, ma soprattutto un traffico molto inferiore al previsto. Quindi uno spreco di soldi pubblici, in alcuni casi davvero drammatico. Cioè opere molto sovradimensionate e costose rispetto alle reali esigenze di mobilità. Non si tratta di un problema solo italiano, tutt’altro. Se ne vedono di fenomenali in tutto il mondo.

Quali sono le principali cause di fallimento dei megaprogetti?
La causa fondamentale, che il libro cerca di spiegare, è che questo “fallimento” è tale per la collettività in generale, ma non per i soggetti che promuovono, costruiscono e poi usano l’opera sovradimensionata di cui si è detto. I costruttori sono ovviamente tanto più contenti quanto più l’opera è grande e costosa. E le banche guadagnano comunque dal finanziare grandi spese. Ma anche i lavoratori ed i fornitori sono contenti, per motivi del tutto analoghi a quelli dei costruttori. I politici locali ne ricavano visibilità e voti (quando non altro…il settore è ricco di storie di corruzione). I politici nazionali possono vantarsi di avere portato risorse pubbliche a quel settore, e/o a quella regione, e forse anche loro hanno altri benefici, o si fanno comunque molti “amici riconoscenti”, che non è cosa troppo diversa. Ma se l’opera è sovradimensionata rispetto alla domanda, anche chi la userà sarà contento: certo non sarà chiamato a pagarla con i pedaggi per l’uso. Se così fosse, i pedaggi sarebbero così alti che l’opera rimarrebbe del tutto deserta.
Il danno riguarderà i contribuenti, ma purtroppo non subito, con oneri fiscali distribuiti negli anni e neppure attribuibili a singole opere. Cioè pagheranno e non sapranno: parte del mostruoso debito pubblico italiano è nato così. Forse si può riassumere il concetto con uno slogan: “costruendo molte linee di Alta Velocità, si va in fretta in Grecia”.
Ma il danno ovviamente riguarda anche i molti servizi sociali, più utili ed urgenti, che rimarranno privi di quelle risorse pubbliche sprecate nei trasporti, soprattutto ferroviari, che sono i più onerosi per lo Stato, di cui sono interamente a carico.
Quali false convinzioni è necessario sfatare circa la ricaduta economica delle infrastrutture?
Non poche, fondamentali, e sistematicamente “promosse” dagli interessi che abbiamo sopra descritto: la prima è che i costi di trasporto incidano in modo rilevante sui bilanci delle imprese. Non è vero: tale incidenza è decrescente con il crescere del valore di quello che produciamo e muoviamo. Per fortuna non più mattoni o grano, ma computer e oggetti di design. Poi che le infrastrutture creino occupazione: anche questo è un mito accuratamente coltivato: per Euro pubblico speso, ne creano pochissima, e per di più temporanea.
Ma le convinzioni più false riguardano le lunghe distanze e le infrastrutture ferroviarie. La domanda di trasporto, ed i conseguenti fenomeni di congestione ecc., è per il 75% concentrata sulle brevi distanze (pendolari, traffico metropolitano), mentre le grandi infrastrutture di solito riguardano le lunghe distanze. Poi uno degli obiettivi pubblici dichiarati per le opere ferroviarie, spostare traffico dalla strada alla ferrovia, anche a costi elevatissimi per le casse pubbliche, genera in realtà vantaggi ambientali molto modesti. Inoltre è difficilissimo: ci si prova da 40 anni con tasse stratosferiche sui carburanti e con fiumi di sussidi alle ferrovie, ma con risultati risibili (anche perché muoviamo, come si è detto, sempre meno merci “povere e pesanti”, per le quali il trasporto ferroviario funzionava bene). Le merci ad alto valore “soffrono” moltissimo nell’usare un sistema, come quello ferroviario, che non può fare servizi “porta-a-porta” come quelli stradali. Infine, come dimenticare che il sistema ferroviario costa alle semivuote casse pubbliche quindici miliardi all’anno per muovere il 10% di merci e passeggeri, e il trasporto stradale ne rende con tasse e pedaggi almeno una cinquantina?
Quale giudizio si può trarre dell’attuale documento di pianificazione nazionale, “Connettere l’Italia”, allegato alla legge finanziaria 2017? (NB il Piano Nazionale dei Trasporti è del 2001, ed oggi totalmente obsoleto e ne è in vista nel 2018 uno nuovo)
È stata una grandissima delusione: il ministro dei trasporti Delrio, che lo ha prodotto, si era impegnato quando ha preso servizio tre anni fa, a valutare in modo trasparente e con tecniche di validità internazionale (soprattutto analisi costi-benefici) la priorità degli investimenti, proprio per evitare sprechi e superare le logiche clientelari passate. A questo scopo, ha creato da subito presso il Ministero un organismo apposito (la Struttura Tecnica di Missione, STM), con 40 tecnici di alto profilo e costi corrispondenti. La STM ha anche pubblicato delle “Linee guida” per tali valutazioni.
Tuttavia da subito è emersa una fortissima contraddizione: il ministro ha dichiarato che il Paese aveva bisogno di una “cura del ferro”, cioè molte più ferrovie. Questa affermazione “di principio”, cioè ideologica, ovviamente non solo rinnega ogni necessità di confrontare e valutare alternative, ma è diretta in favore del modo di trasporto che assorbe fiumi di scarse risorse pubbliche, mentre il modo stradale li genera.
Purtroppo poi il ministro è stato molto coerente: il documento è una selva di grandi opere ferroviarie, nessuna delle quali è stata negli anni scorsi valutata dall’organismo ministeriale creato apposta per farlo. E i motivi sembrano evidentissimi: queste opere mai avrebbero superato una qualsiasi valutazione indipendente degna di questo nome, per esempio seguendo le stesse “Linee guida” del ministero.
Quale futuro per il trasporto ferroviario nel nostro Paese?
Un futuro splendente, se verranno spesi anche solo una parte dei moltissimi soldi pubblici, cioè nostri, allocati dal ministero a questo settore senza alcuna analisi, e per opere della cui sensatezza sono legittimi fortissimi dubbi (nel libro ci sono molti numeri ed esempi di analisi indipendenti a confermarlo).
Un futuro tragico è invece prevedibile, se l’evoluzione tecnologica nel settore dei trasporti continuerà a seguire l’attuale trend, che ci vede alle soglie di innovazioni rilevantissime. Infatti le innovazioni alle viste sono quasi tutte concentrate nel settore stradale.
Iniziamo dalla principale pseudo-motivazione adottata per spendere soldi nelle ferrovie: i danni ambientali prodotti dal trasporto stradale, oggi molto reali (anche se molto meno di quanto vogliano farci credere: l’aria nelle grandi città è molto migliorata in questi anni grazie al progresso tecnico dei motori endotermici). Automobili ibride sempre più economiche ed efficienti sono già sul mercato, ad ogni anno emergono nuovi modelli totalmente elettrici. Uno di questi, già in commercio, ha un’autonomia superiore ai 500Km, e prestazioni da supercar. Notoriamente l’innovazione “emigra”, e questi motori interesseranno successivamente i veicoli merci ed auto sempre più economiche, quando la produzione ne avrà ulteriormente ridotto i costi, grazie alle economie di scala.
Altra motivazione è la maggior sicurezza del modo ferroviario. Ora, il 90% degli incidenti stradali è colpa del guidatore. E sono già in collaudo flotte di taxi in USA in cui il guidatore è presente solo a causa di vincoli normativi, ma non tocca il volante. Veicoli sicuri a guida totalmente automatica sono previsti entro cinque-dieci anni. Nel frattempo quelle tecnologie stanno già “emigrando” come dispositivi di sicurezza sulle auto più costose (radar e laser, frenata e sterzo automatici, ecc.). Se il trend di riduzione degli incidenti continua grazie al progresso tecnico (si sono già dimezzati i morti sulle strade), il problema sicurezza è destinato a scomparire gradatamente.
La terza ragione di difesa del modo ferroviario è la congestione stradale: ma se le macchine non inquinano e non uccidono più, costruire un po’ di strade nuove o allargare quelle esistenti non può più certo essere considerato un tabù, visto che comunque gli utenti della strada se le pagano. Comunque l’avvento della guida automatica risolverà anche questa questione: quando la proprietà del veicolo diverrà irrilevante (basterà chiamare un taxi elettrico ed automatico, super-economico perché senza i costi del guidatore e della benzina, perchè ciascuno possa andare ovunque all’ora desiderata), le strade si libereranno dalle infinite auto parcheggiate, che oggi occupano la metà dello spazio stradale nelle aree dense e più congestionate. E la congestione verrà anche ridotta dalla possibilità dei veicoli di viaggiare “in convoglio”, a brevissima di stanza l’uno dall’altro, regolata elettronicamente. In Germania circolano già “convogli” sperimentali di camion di questo tipo, che offrono anche molta minor resistenza aerodinamica.
Quindi si sta rischiando a nostre spese un futuro tragico per le nuove ferrovie oggi pianificate e finanziate: che rimangano fortemente sottoutilizzate (ce ne sono già diverse, anche AV), un monumento allo spreco, di cui nessuno ovviamente risponderà. E avremo anche perso l’occasione di concentrare in tempo utile la spesa pubblica sulle tecnologie più promettenti ed innovative, che dovremo importare da altri paesi più avveduti.
L’Italia è stata vittima della cosiddetta “ideologia autostradale” ed è ancora oggi uno dei paesi con la maggiore estensione autostradale: quale futuro per la mobilità italiana?
Questo non è più assolutamente vero: Spagna, Francia e Germania ci hanno sorpassato da tempo, anche grazie ai fattori ideologici anti-trasporto stradale che abbiamo visto in azione in Italia. Ma non sono affatto le autostrade la soluzione ai problemi di mobilità. Come si è detto, il 75% del traffico, con i problemi di congestione e di ambiente che ne seguono, si svolge su distanze brevi, tanto che le stesse autostrade, progettate per le lunghe distanze, sono in realtà principalmente usate per spostamenti di ambito regionale. Ed anche i pendolari viaggiano per la stragrande parte in autobus o in macchina, nonostante le alte tasse (e i sussidi al modo ferroviario).
Quello che occorre è di una banalità sconcertante: occorre intervenire là dove c’è la maggior domanda di trasporto ed i maggiori problemi, cioè sulla viabilità ordinaria delle aree metropolitane. Ma questo non si fa per l’ovvia ragione che, con i pedaggi (a volte rapinatori, in favore dei concessionari), le autostrade sono per la gran parte pagate dagli utenti, e non dalle casse pubbliche come le ferrovie.
Quindi così lo stato risparmia soldi, pur ricevendone già un fiume dagli utenti della strada attraverso le tasse sulla benzina, tra le più alte del mondo. E così gli ne avanzano per inaugurare nuove linee AV, o con scarsa domanda, con grande impatto mediatico al taglio del nastro. Non sarebbe la stessa cosa presentarsi alle elezioni dichiarando “Ho migliorato la viabilità ordinaria, e tappato un sacco di buche”. Ma questo è quello che serve di più, e che creerebbe anche più occupazione, ed anche a breve termine.     (da   
www.letture.org)
*  Marco Pontiprofessore al Politecnico di Milano, è uno dei maggiori esperti di economia dei trasporti in Europa e consulente della Banca Mondiale
Atri link:
https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/mponti/

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